Riassunto
Premesse.
Nel 2017 il GdS MM SIPMeL ha condotto una IV indagine sullo stato dell’arte dei marcatori cardiaci in Italia per verificare sul campo i mutamenti avvenuti nell’ultimo quinquennio.
Metodi.
In totale, 122 laboratori da 20 Regioni italiane, 75% serventi una UTIC, hanno risposto a un Questionario con 62 domande posto nel sito web della SIPMeL da maggio a dicembre 2017.
Risultati.
Il campione, significativo per numero e distribuzione territoriale e dimensionale e confrontabile sia con le precedenti indagini del GdS MM sia con survey internazionali, fa emergere luci e ombre. I dati positivi sono: 100% dei rispondenti usa cTn come marcatore preferenziale e 66% da sola nella diagnostica di sindrome coronarica acuta (SCA); il 77% dei rispondenti dispone di hs-cTn (61% negli ultimi 5 anni); il 75% pratica linee guida e/o protocolli e il 65% di questi fa riferimento a linee guida recenti come ESC 2015 e/o Documento ANMCO-SIMEU; mancata proliferazione di altri marcatori miocardici; 100% di partecipazione a CQI e 90% a VEQ; TAT (Turnaround Time) intra-laboratorio misurato nel 65% dei casi e <60 min nel 92,5%; 85% dei rispondenti usa il livello decisionale (LD) 99° percentile (con o senza CV10%) e 88% non usa più un doppio LD per infarto e danno miocardico; 82% utilizza unità di misura corrette. I dati negativi, viceversa, sono: 25% di Laboratori non seguono ancora linee guida per cTn, un numero relativamente basso di protocolli condivisi (56%), l’uso di combinazioni di marcatori (33% CK-MB massa, 26% mioglobina, 10% marcatori totalmente obsoleti); 10% non pratica VEQ; 36% usa la matrice siero, con effetti anche importanti sui TAT; il TAT totale è misurato solo nel 36% dei casi ed è >60 min nel 33%; solo il 35% del campione conosce il problema dei falsi positivi/falsi negativi (FP/FN) di cTn e se ne preoccupa; LD è tratto dai dati di ditta nel 64% dei casi e solo l’11% ne fa una verifica locale; solo il 21% usa LD distinti per genere e/o età, nonostante il 77% utilizzi hs-cTn.
Conclusioni.
I dati, presi nel loro insieme, mostrano come l’innovazione tecnologica sia stata occasione di crescita e come i piccoli centri e il gruppo con tecnologia meno recente siano in maggiore difficoltà. Sono migliorate la conoscenza e la pratica del concetto di “alta sensibilità”, di LD e di TAT. Restano obiettivi formativi il superamento delle combinazioni di test, l’estensione dell’utilizzo di linee guida e protocolli, l’uso di LD distinti, un maggiore governo del TAT totale, la consapevolezza del problema FP/FN, il raggiungimento del 100% di utilizzatori di VEQ. Emerge con forza il concetto che solo una perfetta conoscenza analitica del proprio metodo/strumento è la base per una diagnostica cardiologica di qualità. La IV indagine mostra, d’altra parte, l’assoluta necessità del lavoro all’interfaccia clinica-laboratorio nelle fasi pre–pre e post–post analitiche: infatti, i principali punti negativi (assenza di LG e P; uso di marcatori inutili se non dannosi) dipendono non tanto dal Laboratorio, ma piuttosto dai clinici di riferimento.
Summary
Background.
The IV survey on the use of cardiac markers in Italy was made by Working Group on Cardiac Markers of Italian Society for Clinical Pathology and Laboratory Medicine (GdS MM SIPMeL) in 2017 for evaluating the evolution of the laboratory cardiac diagnostics in the last five years.
Methods.
122 colleagues from 20 Italian Regions, in 75% of cases serving a Cardiac Coronary Unit (CCU), answered a 62-items Questionnaire on the SIPMeL website in summer and fall 2017.
Results.
Conflicting results were obtained from this study in a real-world environment. Encouraging results were: 100% of the Laboratories used troponin (cTn) as the preferred marker for acute coronary syndromes (ACS) and 66% used only cTn; 77% used hs-cTn (61% introduced it in the last five years); 75% Laboratories used international guidelines (GL) and/or shared protocols (P) and 65% recent ESC 2015; no proliferation of other cardiac markers; 100% of the Laboratories run IQC and 90% EQA; 65% measured intra-laboratory TAT (Turnaround Time) and 92.5% had <60 min one; 85% used the decision limit (DL) 99°percentile (±CV10%) and 88% no longer double DL for myocardial infarction and injury; 82% used correct reporting unit. Main concerns were: 25% of the Laboratories did not accept international guidelines and 44% lacked of agreed protocols; 40% used combined measurement with another marker (33% CK-MB m, 26% myoglobin, 10% obsolete markers); 33% used serum, in spite of its negative effect on TAT; 34% measured total TAT and 33% had a total TAT >60 min; only 35% were aware of false positive/false negative (FP/FN) issues in cTn measuring; 64% derived DL from manufacturers’ data and only 11% produced a local validation; only 21% used differentiated DLs for gender and/or age, although 77% used hs-cTn.
Conclusions.
Technological innovation (hs-cTn) was an opportunity for cultural growth (improved knowledge and practice of “high-sensitivity” concept, DLs and TATs) but small Laboratories and the group using contemporary cTn are still in difficulty. Several issues remain: the percentages of obsolete tests is still too high, only 75% use GL/P, and the use of differentiated DLs is too low. Moreover, total TAT should be measured and improved, FP/FN issue should be better known and EQA should be used by 100% of Laboratories. The survey showed that analytic knowledge is the base for a quality Laboratory diagnostics in Cardiology and the clinic-laboratory interface work at pre–pre and post–post phases is crucial for improving some negative points, such as lack of GLs and Ps and use of obsolete or useless markers, because they depend mainly on clinicians’ convictions.
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Introduzione
Il GdS MM (Gruppo di Studio sui Marcatori Miocardici) della Società Italiana di Patologia Clinica e Medicina di Laboratorio (SIPMeL), all’interno delle proprie attività formative e di ricerca, ha svolto, nel passato, indagini sull’uso dei marcatori cardiaci in Italia nel 2012/3 [1], nel 2005 [2] e, insieme con altre Società di Laboratorio e Cliniche, nel 2000 [3], testimoniando l’evoluzione della diagnostica dell’infarto del miocardio (IMA) e delle sindromi coronariche acute (SCA) in Italia dopo l’avvento dell’era della troponina (cTn). Nel 2017, il GdS MM si è proposto una nuova indagine sullo stato dell’utilizzo dei marcatori cardiaci con lo scopo di rilevare la trasformazione avvenuta in questi anni di grande innovazione nel campo della diagnostica cardiologica di laboratorio e clinica, in particolare con l’introduzione delle troponina ad alta sensibilità (high-sensitivity cardiac troponin, hs-cTn) [4] e di nuove linee guida [5], riguardo alla tipologia dei marcatori miocardici cosiddetti “di necrosi” e la loro richiesta clinica; la presenza di protocolli locali e di linee guida internazionali o nazionali di riferimento; aspetti analitici e preanalitici del dosaggio della troponina, compresi la matrice utilizzata, il controllo di qualità interno (CQI) ed esterno (VEQ) e il TAT (Turnaround Time); la conoscenza e l’uso di livelli decisionali e loro metodologia di scelta; l’impatto dell’hs-cTn; la diffusione e caratteristiche di governo dei Point-of-care testing (POCT) e la diffusione, tipologia, caratteristiche analitiche, preanalitiche, di controllo di qualità e di TAT dei peptidi natriuretici (PNC) e di altri eventuali marcatori cardiaci.
Materiali e metodi
L’indagine, come le precedenti [1–3], è stata condotta attraverso la compilazione di un Questionario, il cui draft iniziale, proposto nella riunione del GdS MM a latere del convegno “Marcatori cardiaci: diagnostica di laboratorio e clinica a confronto” di Fano (PU) tenutosi il 31 marzo 2017, è stato sottoposto a un processo di messa a punto mediante forum on line della durata di 1 mese tra i componenti del GdS MM.
Il link alla forma elettronica implementata su piattaforma SurveyMonkey®, al fine di massimizzare la platea dei possibili partecipanti ed elaborare i dati con maggiore flessibilità, è stato reso disponibile a partire dal 15 maggio e fino al 15 dicembre 2017 sul sito della Società all’indirizzo http://www.sipmel.it/it/comunicazione/notizie/109706.
Il Questionario è costituito da 62 item con opzioni multiple e risposte aperte e suddiviso in 5 sezioni—dati della struttura (5 item), troponine (27 item), altri marcatori miocardici e POCT (Point of care testing) (9 item), peptidi natriuretici (19 item), commenti finali (2 item)—tesi a indagare gli aspetti pre-analitici, analitici, post-analitici dei marcatori miocardici utilizzati e aspetti clinico-organizzativi della struttura intervistata.
Dei 152 questionari così raccolti, ne sono stati validati 122, escludendo quelli gravemente incompleti, i rispondenti appartenenti allo stesso Laboratorio, non strutturati, pensionati non attivi e appartenenti a specialità diverse dal Laboratorio. Le diverse domande hanno avuto tassi di risposta tra 82 e 122 partecipanti, a seconda che fossero in grado di rispondere a tutte le sezioni previste (hs-cTn, POCT, PNC).
In particolare, per le cTn i quesiti indagano il loro utilizzo oltre all’eventuale combinazione con altri marcatori, le caratteristiche metodologiche e organizzative (limiti decisionali e loro criteri di scelta, unità di misura, matrici utilizzate, controllo di qualità interno ed esterno, tempo di risposta, disponibilità e gestione di stazioni di diagnostica decentrata) e l’impatto clinico (protocolli, linee guida, rapporti con i clinici). Una serie di quesiti specifici è tesa a rilevare e capire se e come l’introduzione delle hs-cTn abbia modificato i comportamenti e le relative ricadute cliniche desumibili dall’esplicitazione di protocolli e percorsi diagnostico-terapeutici concordati con le Unità Operative di riferimento.
In questo lavoro si riportano i dati generali del campione intervistato e quelli concernenti l’utilizzo di cTn e di altri marcatori. L’impatto di hs-cTn, la situazione del POCT e l’uso dei PNC sono descritti in altra sede [6].
Risultati
Le caratteristiche del campione
La distribuzione dei rispondenti è rappresentata nella Figura 1. Tutte le Regioni italiane eccetto il Molise sono rappresentate; a queste si aggiungono i dati forniti dal Laboratorio dell’Ospedale di Stato della Repubblica di San Marino: 1 Valle d’Aosta (precedente indagine 2012 1), 6 Piemonte (5), 3 Liguria (3), 6 Lombardia (13), 10 Veneto (25), 1 Trentino (1), 1 Alto Adige (2), 8 Friuli Venezia Giulia (11), 8 Emilia Romagna (10), 18 Toscana (14), 6 Umbria (0), 9 Marche (3), 7 Lazio (5), 9 Abruzzo (14), 0 Molise (4), 5 Campania (2), 1 Basilicata (4), 5 Puglia (0), 6 Calabria (3), 9 Sicilia (5), 1 Sardegna (1).
Il 75% dei rispondenti (72% nella precedente indagine) corrisponde a Laboratori inseriti in strutture dotate di Unità di Terapia Intensiva Coronarica (UTIC). Il 77% (71%) esegue più di 5000 cTn/anno: 11% (15%) sotto 1000; 5% (20%) oltre 50.000. Il 27% esegue più di 5000 PNC/anno, il 32,2% meno di 1000 e il 40,2% tra 1000 e 5000. Nel 2012, la dispersione dimensionale delle strutture intervistate era rappresentata dalla vasta gamma del numero di test/anno per cTn, da 80 a 68.000, e per PNC, da 90 a 20.500. Nella Tabella 1 sono rappresentate le caratteristiche del campione, comparate con altre Indagini nazionali [1–3] e internazionali [7, 8].
Il 50% delle strutture indagate e il 33% dei soggetti rispondenti avevano partecipato alla III Indagine del GdS MM del 2012 [1].
Test di “necrosi” in Italia
Il 100% dei rispondenti utilizza cTn come marcatore preferenziale, il 66% (50% nella precedente III Indagine GdS MM) dichiara di utilizzarlo come unico marcatore, nella prima linea di diagnostica della SCA. Il 40% (50%) utilizza combinazioni di test e tra queste la preferita con il 33% (47%) è con CK-MB massa (CKMBm), in circa i due terzi dei casi (26,6% \(\mathit{vs}\) 15% precedente) associata anche a mioglobina (Myo) o a CK totale (CK) (7,5% \(\mathit{vs}\) 5% precedente). Il 10% (8%) utilizza pannelli plurimi in cui compaiono i marcatori obsoleti CK, LDH, AST e, nel 3,3% (2,4%), anche CK-MB attività (CKMBa). Tra i nuovi marcatori, il 18,4% (10%) aggiunge PNC (55% BNP, 45% NT-proBNP) e nessuno hs-CRP (2,4%) e copeptina (Tab. 2). Nella Tabella 3 è presentato il confronto con precedenti Indagini nazionali [1, 2] e internazionali [7, 8]. Nell’utilizzo di marcatori diversi da cTn sembrano avere importanza il ruolo della struttura nel SSN (presenza o meno di UTIC) e l’uso di cTn contemporanea o hs (Tab. 4).
Protocolli e linee guida
Il 56% (55% nella III Indagine del 2012) dei rispondenti ha un protocollo diagnostico condiviso (P) per l’utilizzo dei marcatori cardiaci e l’83% (45,7%) di questi lo descrive o lo allega. Il 44% (45%) non dichiara o dichiara di non averlo. Il 75,6% (74,2%) dichiara di seguire le linee guida internazionali; il 24,7% (25,2%) non le segue. Nel dettaglio il 50% (50%) segue linee guida e ha un protocollo, il 20% (19,2%) segue linee guida ma non ha un protocollo, il 5% (6%) ha un protocollo ma non secondo specifiche linee guida internazionali, il 25% (25%) non segue protocolli e linee guida o non risponde (Fig. 2). Nella Tabella 5 vi è il confronto con altre indagini nazionali e internazionali. La presenza di UTIC o meno influenza il rapporto con linee guida e protocolli: nel gruppo con UTIC solo il 13% non fa riferimento a linee guida e/o protocolli, mentre nel gruppo senza UTIC è il 37%. Anche il tipo di metodica è rapportato con linee guida e protocolli: nel gruppo della cTn contemporanea il 50% ha protocolli e/o linee guida, nel gruppo di hs-cTnI il 65% e nel gruppo di hs-cTnT il 100%.
Il 71% (la quasi totalità di chi segue le linee guida) specifica le linee guida seguite: 11,7% Third Universal Definition 2012 (TUD), 14,2% AHA/ACC 2014, 34,2% ESC 2015, 18,4% ANMCO/SIMEU 2016. Vi sono alcuni che indicano più riferimenti: 8,2% TUD + AHA/ACC, 1,3% AHA/ACC + ESC, 9,4% ESC + ANMCO/SIMEU (Tab. 6).
Aspetti preanalitici e analitici della cTn
Il 77,1% dei rispondenti usa hs-cTn in confronto al 48% dichiarato e al 22% verificato della precedente III Indagine GdS MMM. Il 41% usa hs-cTnI e il 36,2% hs-cTnT. Il 22,8% usa cTnI contemporanea (Fig. 3). Il 61,5% dei rispondenti dichiara di aver introdotto l’hs-cTn negli ultimi 5 anni (successivamente alla precedente III Indagine del GdS MM) [6].
Il 100% dei rispondenti usa il CQI (controllo interno di qualità): 90% (89%) almeno una volta al giorno e 33% (37%) più volte al giorno e 10% settimanalmente o bi-settimanalmente, in relazione a tipologia di Laboratorio (privato, casa di cura, hub/spoke). Il 36,5% usa 3 livelli, il 51% 2 livelli e il 12,5% 1 solo livello di controllo. Il 91% (80%) partecipa a VEQ (9% non risponde) (Fig. 4).
La matrice utilizzata è per il 65,7% (57,6%) plasma-eparina, per il 3,8% (7,2%) plasma-EDTA e per il 36,2% (34,4%) siero. Per quanto riguarda il TAT, i rispondenti misurano il TAT totale (sampling-to-report) nel 36,4% dei casi e il TAT laboratorio (receipt-to-report) nel 64,4%. Misurano e/o stimano il TAT totale (TAT tot) nell’11% (22%) <30 min, 55,5% (60%) <60 min, 30,3% (10%) <90 min, 3% (8%) >90 min e il TAT laboratorio (TAT LAB) nel 27,9% (30%) <30 min, 68,3% (62,5%) <60 min; 3,9% (7,5%) <90 min.
Riguardo ai possibili falsi positivi (FP) e falsi negativi (FN) di cTn, il 27% non sa se esistono misurazioni e azioni a questo riguardo nel proprio Laboratorio, il 38% dichiara che non esistono, mentre il 35% risponde affermativamente e il 26% descrive il metodo di misurazione (quantificazione 53%, stima 47%), il numero rilevato/stimato (che oscilla tra 1 e 250 l’anno senza rapporto con il numero di campioni eseguiti e con due picchi a 2/3 anno e a 10/20 anno) e le misure di contenimento (ripetizione del prelievo o della misura sullo stesso o diverso campione con lo stesso o diverso metodo; ri-centrifugazione e attenzione alla qualità e accettabilità del campione; manutenzione strumentale; diluizioni scalari e trattamento anti-anticorpi eterofili; nota a margine della risposta e/o colloquio con il clinico) nel 25% dei rispondenti. I sottogruppi dimensionali o di metodica non sembrano incidere sulla consapevolezza del problema. Chi serve una UTIC, tuttavia, ha esplicite misure di contenimento e risoluzione del problema in una percentuale doppia (27% \(\mathit{vs}\) 12%) rispetto a chi non ha UTIC.
Nella Figura 4 sono sintetizzate le performance analitiche e preanalitiche dei rispondenti alla IV Indagine del GdS MM.
Livelli decisionali
I livelli decisionali (LD) utilizzati sono stati la combinazione di 99° percentile (pc) e 10% CV nel 52% dei casi (36% nel 2012), solo 99pc nel 32,3% (42%) e solo 10%CV nel 12% (22%). LD è stato tratto dai valori forniti dalla ditta nel 64% dei casi (56% nel 2012), dalla letteratura 24,5% (13%),) oppure prodotto dal Laboratorio nell’11,5% dei rispondenti (18%). Nella precedente indagine un 13% lo traeva dalla combinazione di letteratura e suggerimenti di ditta. Le percentuali sono maggiori nel gruppo senza UTIC e con cTn (72% e 70% da ditta, rispettivamente). L’11,5% dei rispondenti (25% nel 2012) dichiara di utilizzare un doppio LD (danno e IMA); si rilevano percentuali più elevate (15%) nel gruppo senza UTIC. Il 21% usa LD distinti per genere e/o età: 78% di questi per genere, 13% per età e 9% per entrambe le variabili, senza variazioni nei sottogruppi senza UTIC e con cTn contemporanea.
Per quanto riguarda l’unità di misura, solo il 18,6% utilizza microgrammi/litro, il 33,7% picogrammi/millilitro e il 47,7% nanogrammi/litro. Nella Figura 5 è presentata una sintesi delle performance post-analitiche dei rispondenti.
Discussione
Le caratteristiche del campione (vedi Tab. 1)
I 122 rispondenti alla IV indagine sull’utilizzo dei marcatori miocardici in Italia rappresentano uno spaccato credibile della “vera” realtà italiana nel campo dell’utilizzo dei marcatori miocardici. Essi sono sostanzialmente pari ai rispondenti della III Indagine (n. 126) [1] e maggiori della II indagine del GdS MM SIMeL (n. 111) [2] e rappresentano 20 Regioni italiane più la Repubblica di San Marino, contro le 19 del 2012 [1] e le 16 del 2005 [2]. È difficile stimare quale quota essi rappresentino delle sedi di diagnostica miocardica in Italia, data la frenetica ristrutturazione delle attività ospedaliere in questi decenni e in particolare nell’ultimo lustro, ma sicuramente rappresentano almeno il 30% dei Laboratori delle strutture dotate di UTIC. La difficoltà di ottenere adesioni volontarie a queste indagini è testimoniata dai numeri di rispondenti della II survey CARMAGUE [7] (442 rispondenti; 307 da 28 Paesi europei e 135 da Paesi nordamericani) e di quella inglese [8] (95 rispondenti dal Regno Unito e Irlanda) simili o inferiori a quelli dell’indagine italiana, tenuto conto delle popolazioni servite.
Il gruppo dei rispondenti è composto dal 73,5% di Laboratori di strutture con UTIC, percentuale sovrapponibile alla III Indagine (72%) e inferiore a quella della II Indagine italiana (89%) e della survey UK (84%). La composizione dimensionale (30% grandi ospedali, 50% medi, 20% strutture di primo livello), seppure con differenze, è paragonabile a quella della III Indagine (29%, 44%, 27%, rispettivamente) e di CARMAGUE (34% ospedali universitari, 36% ospedali di distretto, 25% laboratori centrali, 5% cure primarie). La numerosità dei PNC/anno insieme con la numerosità di cTn/anno individua il dimensionamento delle strutture: 28% >5000 PNC/anno, 40% tra 1000 e 5000, 31% <1000 \(\mathit{vs}\) 50% tra 10.000 e 50.000 cTn/anno, 23% tra 5000 e 10.000, 23% <5000.
La somiglianza delle caratteristiche del campione giustifica le comparazioni trasversali con la precedente indagine italiana [1], con CARMAGUE [7] e con survey UK [8]. Per quanto riguarda le indagini del GDS MM, nel 2017 è presente il 50% delle strutture indagate nel 2012 e il 33% delle persone rispondenti (tra la III e la II indagine, il 46,4% delle strutture e il 32,3% dei rispondenti): ciò consente una valutazione longitudinale ben fondata che rappresenta l’evoluzione dell’utilizzo dei marcatori miocardici in Italia.
Il limite del campionamento, piuttosto, potrebbe essere rinvenuto nella prevalenza del Nord e del Centro dei rispondenti (n. 92), com’era avvenuto nelle indagini del 2005 e del 2012. Tuttavia, nonostante la debolezza del Sud, le Regioni sono rappresentate da numeri comparabili, eccetto la risposta particolarmente sostenuta della Toscana, secondo tradizione delle nostre indagini (Fig. 1).
Test di “necrosi” in Italia
È certamente un dato positivo, rispetto alle evidenze delle indagini precedenti, che il 100% dei rispondenti continui a usare cTn come marcatore preferenziale per la diagnosi e la prognosi di SCA e che il 66% (50% nel 2012) usi cTn come marcatore unico. Tale utilizzo riguardava solo il 3% dei Laboratori italiani nel 2005 [2], il 98,6% dei Laboratori europei e il 91,2% dei Laboratori nordamericani della survey CARMAGUE pubblicata nel 2016 [7]. Nei dati CARMAGUE pubblicati nel 2012 [9] erano il 31%.
Nonostante l’ampia letteratura contraria [7] e le linee guida più recenti [5], persiste nel 40% dei rispondenti (50% nel 2012) l’abitudine ad associare più marcatori. Raddoppia come secondo marcatore PNC (18% \(\mathit{vs}\) 10% nel 2012), forse sulla base del generico ma precoce significato di danno cardiaco assegnato da alcuni lavori a questi marcatori [10] oppure per l’ampliarsi della richiesta di troponina a situazioni cliniche diverse da SCA [11].
Il dato negativo, però, sono le combinazioni con CKMBm (33% \(\mathit{vs}\) 26% del 2012) e/o Myo (26% come terzo o secondo marcatore delle combinazioni \(\mathit{vs}\) 15% del 2012 e 25% del 2005). Nella CARMAGUE [7] la combinazione di marcatori è scelta ancora dal 35% dei rispondenti (25% CKMBm e 10% Myo). Non va sottaciuta la resistenza all’abbandono di CKMB quale marcatore di necrosi da parte di una parte non piccola dei cardiologi italiani [12]. E anche i dati nordeuropei di CARMAGUE testimoniano la resistenza all’abbandono di vecchie pratiche inappropriate. L’apparente calo di Myo nella III Indagine è probabilmente legato a un’imperfetta rilevazione della realtà. Ancor più negativo è che il 10% dei rispondenti (8% nel 2012) associ ancora in combinazioni plurime CK totale, LDH e AST e nel 3,3% (5,5%) CKMBa, marcatori totalmente obsoleti e metodologicamente inaffidabili. Questi comportamenti sono prevalenti nel gruppo senza UTIC e in quello che usa cTn contemporanea (vedi Tab. 3). È probabile che le difficoltà di confronto con un clinico stimolante e dell’aggiornamento delle evidenze scientifiche, caratteristiche dei piccoli centri, siano le ragioni principali del perdurare di metodi del tutto inadeguati. Tuttavia è importante notare il livello dei tassi di richiesta inappropriata nei grossi centri, in quelli più rapidi nell’innovazione tecnologica e anche in quelli con protocolli ispirati a linee guida. In quest’ultimo gruppo l’uso di CKMBm, obsoleti e CK totale non è dissimile dal campione totale (36%, 12% e 7,5%, rispettivamente), mentre quello di Myo è leggermente più basso (19%). Questo dato testimonia come sia la parte clinica a condizionare il perdurare di pratiche inappropriate. Gli autori di CARMAGUE testimoniano che è l’abitudine dei clinici a determinare la continuazione di marcatori meno sensibili e specifici nella diagnostica del danno miocardico, citando per la CK-MB una specificità clinica per l’infarto che è solo minore sensibilità al danno, una capacità di determinare l’entità del danno che è stata più volte smentita e una sensibilità al reinfarto che non ha trovato conferme recenti [7].
Protocolli e linee guida
Le risposte riguardanti linee guida e protocolli non sono confortanti (vedi Tab. 5). I tre quarti dei rispondenti (\(\mathit{vs}\) 75% del 2012 e 71% del 2005) dichiarano di seguire le linee guida e/o di avere protocolli (68% in CARMAGUE) [7], ma solo il 56% (55% e 44%, rispettivamente) ha protocolli scritti condivisi con i clinici; 35% e 36% in Europa e Nord America secondo CARMAGUE e 54% in UK [7, 8]. Il 25% (25% nel 2012, 27% del 2005, 27% nel 2000) [1–3] non segue le linee guida né ha protocolli. È preoccupante la costanza della percentuale di chi non ha né linee guida né protocolli, che sembrerebbe riflettere una vecchia posizione ideologica contraria alla troponina [13]. Vi sono differenze tra i gruppi con e senza UTIC e tra gli utilizzatori di cTn o hs-cTn: nel gruppo UTIC si situa il 79,5% dei rispondenti con protocollo (59% nel 2012); chi utilizza hs-cTn segue linee guida nel 90% dei casi. Si tratta, quindi, di difficoltà culturali e scientifiche dei piccoli centri, mentre i centri maggiori mostrano un deciso miglioramento della situazione, tenuto conto del dato internazionale. Importante è il raddoppio di chi descrive i protocolli (82% \(\mathit{vs}\) 46% nel 2012). Tra le linee guida seguite vi è una netta prevalenza di ESC 2015 (38%) e il collegato documento italiano ANMCO-SIMEU (27%) che nel 9,5% dei casi sono utilizzati insieme. Questo testimonierebbe la presenza di un gruppo di strutture più recettivo sia alle innovazioni tecnologiche (hs-cTn) sia a quelle metodologiche cliniche.
Aspetti preanalitici e analitici delle cTn
In Italia continua il predominio della troponina I (66% \(\mathit{vs}\) 65% del 2012 e 69% del 2005), mentre in Europa [7] la situazione appare inversa (55% cTnT). Il 77% dichiara di usare hs-cTn e il confronto con i metodi/strumenti utilizzati conferma il dato, seppure con qualche incertezza. Nel 2012 circa il 50% degli intervistati dichiarava di utilizzare una troponina ad alta sensibilità (≈35% di chi usava cTnI e ≈70% di chi usava cTnT). La verifica con metodi/strumenti aveva confermato circa il 20% riferito a hs-cTnT. È positivo che la confusione sul concetto di “alta sensibilità” stia progressivamente diminuendo, come evidenziato anche in altre realtà europee [8].
Per quanto riguarda i controlli di qualità, è positivo che il 100% usi CQI (93% nel 2012 e 100% nel 2005), il 90% almeno una volta al giorno o più (33%) e su 3 livelli (36%); 1 livello solo nel 12,5%. Il 90% (80%) partecipa a VEQ. Sono dati decisamente migliori rispetto al passato e sovrapponibili a CARMAGUE [9]; nella survey UK il 100% esegue CQI almeno una volta al giorno [8]. Non vi sono rilevanti differenze tra i gruppi studiati, diversamente dalla III Indagine.
La matrice utilizzata è in circa i due terzi plasma (9 volte su 10 con eparina) e in un terzo siero (36,5%), con piccoli spostamenti rispetto alle indagini precedenti (39% e 38%, rispettivamente). L’uso della matrice sembra moderatamente correlata ai TAT [2]: il siero rappresenta il 50% dei campioni con un TAT tot >60 min, il 40% dei campioni >30 min e solo il 20% dei campioni <30 min; il 30% dei campioni con un TAT LAB >30 min e il 20% di quelli <30 min. Nella survey UK [8] si nota una prevalenza di uso di Li-eparina, ma il problema maggiore è l’uso indiscriminato di matrici diverse anche per lo stesso paziente; il 54% dei Laboratori UK informa i clinici dei possibili problemi classificativi derivanti dall’uso di matrici diverse, ma solo il 38% ha raccomandazioni formali. Nel nostro campione questo problema potrebbe riguardare solo il 6% dei rispondenti.
Il quadro dei TAT è molto migliorato rispetto alle passate Indagini. L’insieme delle risposte esprime una corretta comprensione del problema, una consapevole determinazione dei TAT e una fotografia realistica dei comportamenti. Circa due terzi dei rispondenti misurano il TAT LAB e più di un terzo il TAT tot (intorno al 50% nel 2012 e 2005); poco più del 10% del campione (30% nel 2012) non risponde. Questi dati sono migliori di CARMAGUE [14]: 45% misura il receipt-to-report e 25% quello sampling-to-report. Il 66% dei nostri rispondenti dichiara un TAT tot <60 min e 86% un TAT LAB <60 min. Questi dati potrebbero sembrare peggiori di quelli 2012 (82% e 92,5%, rispettivamente!), ma sono invece più realistici: nella survey UK del 2015 [8] il 62% dichiarava un TAT LAB <60 min. Inoltre, non si è ripresentato il fenomeno segnalato nel 2012 di valori identici dichiarati contemporaneamente sia per il TAT tot sia per il TAT LAB. L’appartenenza ai gruppi senza UTIC e con metodi cTn contemporanei incide sulla pratica del controllo (TAT tot e LAB sono misurati nel 20–40% e nel 10–30%, rispettivamente) ma non sembrerebbe incidere sui risultati (TAT tot e LAB <60 min nel 62–90% e 80–95%, rispettivamente). Tuttavia resta l’incognita dell’ampia percentuale di dati stimati e non misurati.
Livelli decisionali
I dati sui LD sono confortanti, soprattutto se paragonati con la confusione che risultava dall’Indagine del 2012. Solo l’11,5% (\(\mathit{vs}\) 25% precedente) utilizza ancora un doppio LD per IMA e danno miocardico e solo il 12% (\(\mathit{vs}\) 22%) utilizza come LD il valore con un CV ≤ 10%. In CARMAGUE [7] il 16,2% dei Laboratori europei e il 24,2% di quelli americani utilizzano il CV ≤ 10%. Il 52% utilizza il 99° percentile di una popolazione sana + il CV ≤ 10% e il 32% solo il 99°percentile ma hs-cTn ha per definizione una tale performance. L’82% utilizza unità di misure suggerite dalle linee guida (ng/L o pg/mL).
Tuttavia, il 64% usa LD suggerito dalla ditta: era il 56% nel 2012. Di pari passo diminuiscono i Laboratori che fanno una verifica dei LD (11,5% \(\mathit{vs}\) 18% nel 2012) o che lo confrontano con i dati di letteratura (24% \(\mathit{vs}\) 26%). La verifica locale è del 21% nei Laboratori europei e del 45% in quelli americani di CARMAGUE [7]. Il dato conferma un progressivo venir meno dell’abitudine a verificare in loco le performance metodologiche, nonostante le raccomandazioni della letteratura. Cause rilevanti sono senz’altro il taglio del personale e la mancanza di tempo, ma è probabile incida anche una perdita di competenze specifiche di tipo analitico. Potremo ripetere quanto sostenuto per l’Indagine del 2012: il Laboratorio sottovaluta, da un lato, l’importanza della verifica delle performance strumentali in una cieca fede nella tecnologia e, dall’altro, l’occasione di lavoro all’interfaccia che la valutazione analitica consente nel momento in cui si deve condividere con il clinico i pazienti o i soggetti da studiare e le applicazioni cliniche dei risultati ottenuti.
LD distinti per genere ed età sono ancora poco praticati [15], soprattutto se si tiene conto della predominanza di hs-cTn. I sottogruppi senza UTIC e con cTn presentano dati generalmente peggiori.
Conclusioni
Un campione significativo, per numero e distribuzione territoriale e dimensionale, e confrontabile sia con le precedenti Indagini del GdS MM sia con le survey internazionali consente di definire lo stato dell’arte dell’utilizzo dei marcatori miocardici in Italia, facendone emergere luci e ombre.
I dati positivi sono: l’uso totale (100%) della cTn come marcatore preferenziale e la crescita fino al 66% dei Laboratori che utilizzano la cTn da sola nella diagnostica di SCA; la crescita dell’utilizzo di hs-cTn fino al 77% dei rispondenti (61% negli ultimi 5 anni); il 75% pratica linee guida/protocolli e il 65% di questi linee guida recenti come ESC 2015 e/o Documento ANMCO-SIMEU; la mancata proliferazione dei tanti marcatori miocardici proposti senza sufficienti evidenze scientifiche. Va segnalato, inoltre, il 100% di partecipazione a CQI e 90% a VEQ e il TAT LAB misurato nel 65% dei casi e <60 min nel 92,5%. Per quanto attiene i LD, l’85% dei rispondenti usa 99pc (con o senza CV10%) e l’88% non usa più un doppio LD per IMA e danno miocardico; 82% utilizza unità di misura corrette.
I dati negativi, viceversa, sono i seguenti. Persiste circa un quarto dei Laboratori che non seguono le linee guida per cTn, un numero relativamente basso di protocolli condivisi (56%), l’uso di combinazioni di marcatori (33% CKMBm, 26% Myo, 10% marcatori totalmente obsoleti). Un 10% non pratica VEQ; un terzo del campione usa matrice siero, con effetti anche importanti sui TAT; il TAT tot è misurato solo nel 36% dei casi ed è >60 min nel 33% dei casi; solo il 35% del campione conosce il problema dei FP/FN di cTn e se ne preoccupa. Per quanto attiene LD, il 64% lo trae dai dati di ditta e solo l’11% (\(\mathit{vs}\) 18% del 2012) ne fa una verifica locale; solo il 21% usa LD distinti per genere e/o età, nonostante il 77% utilizzi hs-cTn.
I dati, presi nel loro insieme, mostrano come l’innovazione tecnologica si sia sposata a occasioni di colloquio all’interfaccia con il clinico e come i piccoli centri e il gruppo con tecnologia meno recente siano in maggiore difficoltà. L’interesse scientifico dei rispondenti, la letteratura internazionale e l’opera di formazione di gruppi nazionali, come il nostro, hanno migliorato conoscenza e pratica del concetto di “alta sensibilità” per cTn, di LD e di TAT. Restano obiettivi formativi importanti il superamento delle combinazioni di test, l’estensione dell’utilizzo di linee guida e protocolli, l’uso di LD distinti, un maggior governo del TAT tot, la consapevolezza del problema FP/FN, il raggiungimento del 100% di utilizzatori di VEQ. Emerge con forza il concetto che solo una perfetta conoscenza analitica del proprio metodo/strumento è la base per una diagnostica cardiologica di qualità.
La IV indagine, d’altra parte, mostra l’assoluta necessità del lavoro all’interfaccia clinica-laboratorio nelle fasi pre–pre e post–post analitiche (scelta di linee guida; protocolli condivisi; verifica locale LD; scelta di LD; monitoraggio dei TAT) [16]. Infatti, i principali punti negativi (assenza di linee guida e protocolli; uso di marcatori inutili se non dannosi) dipendono non tanto dal Laboratorio, quanto piuttosto dai clinici di riferimento. Solo il colloquio evidence-based tra pari può consentire di migliorare la qualità della diagnostica cardiologica di laboratorio.
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Per questo tipo di studio non è richiesto l’inserimento di alcuna dichiarazione relativa agli studi effettuati su esseri umani e animali.
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A nome del Gruppo di Studio sui Marcatori Miocardici (GdS MM) della Società Italiana di Patologia Clinica e Medicina di Laboratorio (SIPMeL).
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Galli, G.A., Malloggi, L., Moretti, M. et al. La IV indagine del GdS MM SIPMeL: i marcatori miocardici di “necrosi” in Italia. Riv Ital Med Lab 14, 87–96 (2018). https://doi.org/10.1007/s13631-018-0193-y
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