Introduzione

Il GdS MM (Gruppo di Studio sui Marcatori Miocardici) della Società Italiana di Medicina di Laboratorio (SIMeL), all’interno delle proprie attività formative e di ricerca, ha svolto nel passato indagini sull’uso dei marcatori cardiaci in Italia, insieme ad altre Società di Laboratorio e Cliniche nel 2000 [1] e da solo nel 2005 [2]. Numerose sono state le indagini volte a valutare l’utilizzo dei marcatori miocardici nelle diverse aree geografiche nordamericane ed europee [311] dopo il fondamentale lavoro di ridefinizione dell’infarto cardiaco [12] e più recentemente sono comparsi i dati II studio europeo CARMAGUE (CARdiac MArker Guidelines Uptake in Europe) [13]. Nel 2012 il GdS MM si è proposto una nuova indagine sullo stato dell’utilizzo dei marcatori cardiaci in Italia con lo scopo di rilevare la tipologia dei test di necrosi miocardica richiesti e la loro provenienza clinica; la presenza di protocolli locali e la congruità con linee guida internazionali; aspetti analitici e preanalitici del dosaggio della troponina, compresi CQI, VEQ e TAT; la conoscenza e l’uso di intervalli popolazionistici e di livelli decisionali e loro metodologia di scelta; diffusione e caratteristiche di governo dei Point-of-care testing (POCT) e, in più rispetto alla precedente indagine, diffusione, tipologia, caratteristiche analitiche, preanalitiche, di controllo di qualità e di TAT dei peptidi natriuretici e di altri eventuali marcatori cardiaci.

Materiali e metodi

Un Questionario con 47 item, pensato per indagare i punti in premessa, è stato messo a punto dal GdS-MM nel 2012, reso disponibile ai soci sul sito della Società (http://www.simel.it/it/gruppi/notizia.php/104773) e nel 2013 distribuito in due Convegni SIMeL—Modena 28 febbraio 2013; Rocca S. Giovanni (CH) 30 maggio 2013—e in due Corsi residenziali a Monastier di Treviso (14–15 marzo e 5 aprile 2013). Sono stati distribuiti complessivamente 250 questionari (rispettivamente 100 e 80 nei due Convegni; 35 in ciascuno dei due Corsi). Ne sono stati raccolti 30 direttamente dal sito e 148 dagli incontri societari.

126 sono stati validati a fini di ricognizione della realtà organizzativa e diagnostica, escludendo i rispondenti appartenenti allo stesso laboratorio, non strutturati, pensionati e appartenenti a specialità diverse dal laboratorio.

Sono stati esaminati, inoltre, 2 sottogruppi rappresentativi di realtà a diversa complessità sulla base della presenza o meno di una Unità Coronarica (UC) nell’ospedale del laboratorio rispondente: gruppo A senza UC (n. 36) e gruppo B con UC (n. 90).

Risultati

Le caratteristiche del campione

I 126 rispondenti validati provengono da 19 regioni (1 Valle d’Aosta, 5 Piemonte, 3 Liguria, 13 Lombardia, 10 Emilia Romagna, 25 Veneto, 1 Trentino, 2 Alto Adige, 11 Friuli Venezia Giulia, 14 Toscana, 3 Marche, 5 Lazio, 14 Abruzzo, 4 Molise, 2 Campania, 4 Basilicata, 3 Calabria, 5 Sicilia, 1 Sardegna). Il 32,3% dei rispondenti dichiara di aver personalmente risposto all’indagine del 2005, ma incrociando i dati dei Laboratori delle due indagini (2013 vs 2005) i Laboratori rispondenti alle due indagini sono pari al 46,4%. Il 72% dei rispondenti serve anche una UC, il 90% un ospedale aperto 24 h, 87% una osservazione medica che si prolunga oltre le 12 h. Il 76,3% dei rispondenti è un laboratorio aperto 24 h; il restante 23,7% ha orari di apertura tra 7 e 18 ore (media 9 h, moda 12 h), supplisce nel 73% con pronta disponibilità e nel 27% dei casi con POCT o invio in altra sede dei campioni o dei pazienti.

Le dimensioni delle strutture dei rispondenti vanno dai Laboratori privati senza posti letto (n. 5) e della Case di Cura (n. 10) ai Laboratori di ospedali “spoke” (n. 21) (Gruppo A) agli ospedali di medie dimensioni (56) e ai Centri Ospedalieri grandi e/o universitari (33) (Gruppo B) (Fig. 1).

Fig. 1
figure 1

Composizione del campione sotto il profilo della complessità strutturale dei laboratori (AOU: Aziende Ospedaliero-Universitarie; Medi: Aziende Ospedaliere non universitarie o Ospedali di riferimento di ASL; Spokes: ospedali minori di ASL; CdC: laboratori di Case di Cura private o convenzionate; Lab: Laboratori privati o convenzionati). I rispondenti sono suddivisi in 2 gruppi (A e B) in base alla assenza/presenza di Unità Coronarica (UC) nella realtà di appartenenza

La vasta gamma delle strutture è confermata dall’ambito dei test/anno per troponina (cTn)—da 80 a 68.000—e per peptidi natriuretici (PNC)—da 90 a 20.500.

Test di necrosi in Italia (Fig. 2)

Fig. 2
figure 2

Dati di sintesi dell’utilizzo dei marcatori di necrosi in Italia. LG: osservanza delle linee guida internazionali; P: presenza di protocolli condivisi laboratorio-clinica; cTn: percentuale dei laboratori che usa troponina come marcatore preferenziale in SCA (Sindrome Coronarica Acuta); cTn solo: percentuale dei laboratori che usa cTn come unico marcatore in SCA; plasma: percentuale di laboratori che usa la matrice plasma o sangue intero; CQI: esecuzione di controlli di qualità interni; VEQ: partecipazione a valutazione esterna di qualità; TAT m: laboratori che misurano il TAT; LD: percentuale di laboratori che utilizzano livelli decisionali

Il 100% dei rispondenti utilizza cTn come marcatore preferenziale, il 50% dichiara di utilizzarlo come unico marcatore, nella prima linea di diagnostica della Sindromi Coronariche Acute (SCA). Il 43% utilizza combinazioni di test e tra queste la preferita (47% delle combinazioni) è cTn/CKMB massa (CKMBm), seguita (15%) da cTn/CKMBm/Myo (mioglobina) e da (5%) cTn/Myo. Il 18,5% aggiunge PNC e il 18,5% (8% del totale) utilizza pannelli plurimi in cui compaiono i marcatori obsoleti CK totale, LDH e AST. Il 5% (2,4% del totale) utilizza ancora CKMB attività (CKMBa) (Fig. 3).

Fig. 3
figure 3

Utilizzo dei marcatori di necrosi in Italia

Protocolli e Linee Guida

Il 55% dei rispondenti ha un protocollo diagnostico condiviso per l’utilizzo dei marcatori cardiaci e il 45,7% di questi lo descrive o lo allega. Il 33% dichiara di non averlo. Nel 12% i dati non sono dichiarati (ND). Il 74,2% dichiara di seguire le Linee Guida internazionali (LG); il 21,2% non le segue; ND 4%. Nel dettaglio il 50% segue LG e ha protocollo, il 19,2% segue LG ma non ha protocollo, il 5,2% fornisce risposte contraddittorie (Fig. 4).

Fig. 4
figure 4

Utilizzo di linee guida internazionali (LG) e/o protocolli condivisi con i clinici (P) per i marcatori miocardici di necrosi. Rispetto al testo le percentuali sono state ricalcolate tenendo conto del 5,2% di risposte contraddittorie

Aspetti preanalitici ed analitici della cTn

Il 64,8% usa cTnI e il 26,4% dichiara di usare hs (high sensitivity) cTnI; il 35,2% usa cTnT e il 21,6% dichiara di usare hs cTnT (Fig. 5).

Fig. 5
figure 5

Utilizzo di high sensitivity cTn in Italia, secondo i rispondenti alla III Indagine del GdS MM SIMeL. Vedi testo per la valutazione sulla fondatezza delle risposte. Rispetto al testo i dati percentuali sono stati riportati a numeri interi

89% dei rispondenti utilizza CQI (controllo interno di qualità) almeno una volta al giorno (37% più volte al giorno) e 10% settimanalmente o bi-settimanalmente, in relazione a tipologia di laboratorio (privato, casa di cura, spoke); ND 1%. 80% partecipa a VEQ (13% no e ND 7%).

La matrice utilizzata è per il 57,6% plasma-eparina e per il 7,2% plasma-EDTA; per il 34,4% è siero.

Il 46,4% dichiara di misurare il TAT, il 29,6% dichiara di stimarlo e il 24% non risponde. I rispondenti misurano/stimano il TAT totale (sampling-to-report) come segue: 22% <30 min; 60% <60 min; 10% <90 min; 8% >90 min, e il TAT laboratorio (receipt-to-report) come segue: 30% <30 min; 62,5% >60 min; 7,5% <90 min. I TAT sembrano correlati all’uso della matrice: il siero rappresenta il 71% dei campioni con un TAT di laboratorio <90 min, il 30% dei campioni <60 min e il 25% dei campioni <30 min.

Il 76% dei rispondenti non esegue reflex in caso di cTn positiva in prima istanza; 12% ND; 12% ripete cTn non immediatamente ma ad orari prestabiliti (≈50%), aggiunge altro marcatore (30%) o testa su altro strumento (15%).

Livelli decisionali ed intervalli di riferimento della cTn

Le risposte sui limiti decisionali (LD) e livelli di riferimento (LR) sono complicate da interpretare. L’81% dichiara di usare LD che varia a seconda dello strumento utilizzato: prevalentemente 14 pg/mL Roche, 0,06 ng/mL Beckman, 0,04 ng/mL Siemens, 0,04 ng/mL Abbott, 0,03 ng/mL Tosoh, 0,1 ng/ml Biomerieux. I criteri per la scelta del LD (ND 37,6%) sono stati la combinazione di 99 percentile (pc) e 10% CV (36%) o solo 99 pc (42%) o solo 10%CV (22%). LD è stato tratto dai valori forniti dalla ditta (56%), dalla letteratura (13%), dalla combinazione delle due fonti precedenti (13%) oppure prodotto dal laboratorio (18%).

Il 45% dichiara di utilizzare LR, i cui valori però sono prevalentemente sovrapponibili a LD, prodotti in laboratorio (18%), circa la metà (53%) su volontari oppure su donatori (47%), oppure tratti dai valori della ditta (55,2%), dalla letteratura (19,3%) o da entrambe le fonti (12,1%). ND 41.6%.

Il 25% dichiara di utilizzare un LD IMA determinato in laboratorio (10,4%) oppure tratto dai valori della ditta (43,8%), della letteratura (29,4% di cui metà direttamente dalle raccomandazioni internazionali) o dal mix di entrambe le fonti (26,8%).

Peptidi natriuretici in Italia (Fig. 6)

Il 72% dei rispondenti dichiara di utilizzare PNC; il 28% di non utilizzarli. I principali utilizzatori sono il Dipartimento di Emergenza o il Pronto Soccorso (DE) con il 62% e UC o Cardiologia con il 57%, ma il 56% viene fornito anche ad Esterni e il 30% ad altri reparti ospedalieri (medicina interna in primis). Il 22,4% fornisce PNC solo in urgenza e il 20% solo in routine; il 56,8% sia in urgenza che in routine. Chi li fornisce solo in routine lavora a batch (83,3%) ed esegue nel 47% un solo batch al giorno.

Fig. 6
figure 6

Dati di sintesi dell’utilizzo di PNC in Italia. Uso: percentuale di laboratori che usano PNC; matrice BNP: percentuale di laboratori che usa la matrice corretta per BNP (plasma EDTA); matrice NT: percentuale di laboratori che usa la matrice corretta per NT-proBNP (plasma EDTA o siero; CQI: esecuzione di controlli di qualità interni; VEQ: partecipazione a valutazione esterna di qualità; TAT m: laboratori che misurano il TAT; LD: percentuale di laboratori che utilizzano livelli decisionali

Aspetti preanalitici ed analitici

Il 56,2% utilizza NT-proBNP (NT) e il 43,8% BNP.

Il 96,3% esegue CQI e 81% partecipa a VEQ. La matrice utilizzata è plasma-EDTA (50%), plasma-eparina (30%) e siero (20%). Nel dettaglio, gli utilizzatori di BNP usano il tipo di matrice esclusivamente suggerita (plasma EDTA) nel 90% dei casi e gli utilizzatori di NT-proBNP usano le matrici consigliate (siero e plasma eparina) nel 75% dei casi.

Il 63% risponde alle domande sul TAT (ND 27%). Il 62% dei rispondenti dichiara di stimare il TAT, il 38% di misurarlo. Per il TAT in urgenza (TAT U) i rispondenti dichiarano un TAT U totale (sampling-to-report) per il 14% <30 min; 56% <60 min; 10% <90 min; 20% >90 min e un TAT U laboratorio (receipt-to-report) per il 24% <30 min; 60% <60 min; 9% <90 min; 17% >90 min. Per il TAT in routine (TAT R) dichiarano un TAT R totale per 33% <60 min e 67% >60 min; un TAT R laboratorio per il 29% <30 min; 49,3% <60 min; 10,6% <90 min; 11% <120 min.

Livelli decisionali ed intervalli di riferimento

Solo il 48,3% risponde alla domanda su LD, indicandolo prevalentemente (80%) in 100 pg/mL. Solo il 25,8% risponde alla domanda su LR, indicandone i valori basso/alto in relazione al PNC in uso (NT/BNP) e allo strumento utilizzato. Coloro che rispondono alla domanda su LD indicano di averlo derivato dal limite superiore di riferimento (URL) nel 77% dei casi e da curva ROC nel 5% dei casi, utilizzando come fonte i valori forniti dalla ditta (60%), dalla letteratura (23%), da entrambe (9%) oppure prodotto dal laboratorio (8,3%), confrontandolo talora con i dati della casa produttrice (6%).

Altri marcatori

L’utilizzo di altri marcatori miocardici appare irrilevante: solo il 2,4% dei rispondenti cita la hs-CRP, come marcatore aggiuntivo.

POCT

Dei 102 partecipanti all’indagine (82%) che rispondono alle domande sui POCT, il 62% sostiene che non vengono utilizzati nella sua realtà. I POCT, quando presenti (38% dei casi) sono per circa la metà (46%) dedicati ai marcatori cardiaci e per circa metà (54%) forniscono un mix di esami tra cui la cTn. La matrice utilizzata è sangue intero (57,2%) o plasma (42,8%). Il metodo è identico a quello del laboratorio centrale solo nel 30% dei casi. Il POCT è sottoposto a supervisione da parte del laboratorio nel 90%, allineato al metodo del laboratorio nel 71%, esegue CQI nel 97% dei casi e partecipa a VEQ nel 20%

Gruppo A (senza UC)

Nel gruppo di 36 rispondenti il 22% dichiara di aver partecipato all’indagine 2005. Il 40% non appartiene ad un ospedale aperto 24 h e il 72% non dispone di una osservazione medica per più di 12 h. Il Laboratorio non è aperto sulle 24 h nel 92% dei casi ma tra 7 e 18 h con reperibilità solo nel 22% dei casi. Il numero totale di cTn va da 70 a 14.000/anno e di PNC da 100 a 3000/anno.

Test di necrosi

Il 100% usa cTN come marcatore, il 50% come preferenziale e il 50% usa combinazioni prevalentemente cTn/CKMBm (42%), cTn/Myo (16%), cTn/BNP (12%) e marcatori plurimi (CK tot, LDH, AST) nel 10% dei casi. In questo gruppo si trova l’utilizzo di CKMB attività (8%).

Protocolli e Linee Guida

Il 42% dei rispondenti ha un protocollo diagnostico condiviso per l’utilizzo dei marcatori cardiaci e il 57% di questi lo descrive. Il 46% dichiara di non averlo; ND 12%. Il 53% dichiara di seguire le Linee Guida internazionali (LG); il 35% non le segue; ND 12%.

Aspetti preanalitici ed analitici delle cTn

Il 73% usa cTnI e il 25% dichiara di usare hs cTnI; il 27% usa cTnT e il 19% dichiara di usare hs cTnT.

50% dei rispondenti utilizza CQI (controllo interno di qualità) almeno una volta al giorno (28% più volte al giorno) e 50% settimanalmente o bisettimanalmente. Il 22% partecipa a VEQ; ND 8%.

La matrice utilizzata è per il 47% plasma-eparina e per il 14% plasma-EDTA; per il 39% è siero. Il 38% dichiara di misurare il TAT, il 28% dichiara di stimarlo e il 36% non risponde. I rispondenti misurano/stimano il TAT totale (sampling-to-report) come segue: 21% <30 min; 60% <60 min; 15% <90 min; 4% >90 min, e il TAT laboratorio (receipt-to-report) come segue: 50% <30 min; 38% <60 min; 12% <90 min.

Il 95% non esegue reflex in caso di cTn positiva in prima istanza; 5% ripete cTn su altro strumento.

Livelli decisionali ed intervalli di riferimento delle cTn

ND 40%. Il 64% dei rispondenti dichiara di usare LD che varia a seconda dello strumento utilizzato. I criteri per la scelta del LD sono stati la combinazione di 99 percentile (pc) e 10% CV (22%) o solo 99 pc (60%) o solo 10%CV (8%). ND 10%. LD è stato tratto dai valori forniti dalla ditta (66%), dalla letteratura (17%), dalla combinazione delle due fonti precedenti (9%) oppure prodotto dal laboratorio (8%).

Il 38% dichiara di utilizzare LR, i cui valori sono prevalentemente sovrapponibili a LD, tratti dai valori della ditta (75%), dalla letteratura (12,5%) o da entrambe le fonti (12,5%).

Meno del 20% dichiara di utilizzare un LD IMA determinato in laboratorio (10,4%) oppure tratto dai valori della ditta (38,8%), della letteratura (26,8% di cui metà direttamente dalle raccomandazioni internazionali) o dal mix di entrambe le fonti (23,8%).

Peptidi natriuretici

Il 57% dei rispondenti dichiara di utilizzare PNC; il 43% di non utilizzarli. I principali utilizzatori sono il DE con il 62% ed altri reparti ospedalieri (medicina interna in primis), ma l’86% viene fornito anche ad Esterni. Il 19% fornisce PNC solo in urgenza e il 24% solo in routine; il 57% sia in urgenza che in routine. Chi li fornisce solo in routine lavora a batch ed esegue di solito un solo batch al giorno.

Aspetti preanalitici ed analitici

Il 50% utilizza NT-proBNP (NT) e il 50% BNP.

Il 90% esegue CQI e 28% partecipa a VEQ. Il 43% risponde alle domande sul TAT (ND 57%).

La matrice utilizzata è plasma-EDTA (57%), plasma-eparina (30%) e siero (13%). Il 70% dei rispondenti dichiara di stimare il TAT, il 30% non risponde. Per il TAT (U e R sono sovrapponibili) i rispondenti dichiarano un TAT totale e di laboratorio (sovrapponibili) per il 20% <30 min; 50% <60 min; 20% <90 min; 10% >90 min.

Livelli decisionali ed intervalli di riferimento

Solo il 43% risponde alla domanda su LD, indicandolo prevalentemente (80%) in 100 pg/mL. Solo il 22% risponde alla domanda su LR, indicandone i valori basso/alto in relazione al PNC in uso (NT/BNP) e allo strumento utilizzato e desunto dai valori forniti dalla ditta (90%). Coloro che rispondono alla domanda su LD indicano di averlo derivato dal limite superiore di riferimento (URL) nel 90% dei casi, utilizzando come fonte i valori forniti dalla ditta (90%) o dalla letteratura (10%).

POCT

I POCT, quando presenti (45% dei casi) sono per circa la metà dedicati ai marcatori cardiaci e per circa metà forniscono un mix di esami tra cui la cTn. La matrice utilizzata è sangue intero (40%) o plasma (60%). Il metodo è lo stesso del laboratorio centrale solo nel 10% dei casi. Il POCT è sottoposto a supervisione da parte del laboratorio nell’85%, allineato al metodo del laboratorio nel 70%, esegue CQI nel 90% dei casi e non partecipa a VEQ.

Gruppo B (con UC)

Nel gruppo di 90 rispondenti il 55% dichiara di aver partecipato all’indagine 2005. Il 100% appartiene ad un ospedale aperto 24 h che dispone di una osservazione medica per più di 12 h. Il Laboratorio non è aperto sulle 24 h nel 15% dei casi ma tra 12 e 18 h con reperibilità solo nel 95% dei casi. Il numero totale di cTn va da 1700 a 68.000/anno e di PNC da 100 a 11.000/anno.

Test di necrosi

Il 100% usa cTn come marcatore preferenziale e il 45% usa combinazioni prevalentemente cTn/CKMBm (16%), cTn/CKMBm/Myo (10%), cTn/BNP (9%) e marcatori plurimi (CK tot, LDH, AST) nel 10% dei casi.

Protocolli e Linee Guida

Il 59% dei rispondenti ha un protocollo diagnostico condiviso per l’utilizzo dei marcatori cardiaci e il 57% di questi lo descrive. Il 26% dichiara di non averlo (ND 15%). 81% dichiara di seguire le Linee Guida (LG) internazionali, il 7% non le segue (ND 12%).

Aspetti preanalitici ed analitici delle cTn

Il 54% usa cTnI e il 28% dichiara di usare hs cTnI; il 46% usa cTnT e il 23% dichiara di usare hs cTnT.

Circa il 90% dei rispondenti utilizza CQI (controllo interno di qualità) almeno una volta al giorno (42% più volte al giorno) e 9% settimanalmente o bisettimanalmente. Il 92% partecipa a VEQ (ND 8%).

La matrice utilizzata è per il 60% plasma-eparina e per l’8% plasma-EDTA; per il 32% è siero. Il 49% dichiara di misurare il TAT, il 38% dichiara di stimarlo e il 23% non risponde. I rispondenti misurano/stimano il TAT totale come segue: 22% <30 min; 61% <60 min; 10% <90 min; 7% >90 min, e il TAT laboratorio come segue: 32% <30 min; 61% <60 min; 7% <90 min.

Il 72% non esegue reflex in caso di cTn positiva in prima istanza; 12% ripete cTn ad orari prestabiliti, aggiunge altro marcatore o testa su altro strumento.

Livelli decisionali ed intervalli di riferimento delle cTn

Il 100% dei rispondenti dichiara di usare LD che varia a seconda dello strumento utilizzato. I criteri per la scelta del LD sono stati la combinazione di 99 percentile (pc) e 10% CV (39%) o solo 99 pc (40%) o solo 10% CV (13%); ND 8%. LD è stato tratto dai valori forniti dalla ditta (51%), dalla letteratura (10%), dalla combinazione delle due fonti precedenti (18%) oppure prodotto dal laboratorio (24%).

Il 48% dichiara di utilizzare LR, i cui valori sono prevalentemente sovrapponibili a LD, tratti dai valori della ditta (52%), dalla letteratura o da entrambe le fonti (34%) o prodotti dal laboratorio (24%).

Il 28% dichiara di utilizzare un LD IMA determinato in laboratorio (16%) oppure tratto dai valori della ditta (60%), della letteratura (24% di cui metà direttamente dalle raccomandazioni internazionali).

Peptidi natriuretici

87% dei rispondenti dichiara di utilizzare PNC; il 13% di non utilizzarli. I principali utilizzatori sono DE/UC con il 64% ed altri reparti ospedalieri (19% medicina interna in primis), ma il 48% viene fornito anche ad Esterni. Il 25% fornisce PNC solo in urgenza e il 14% solo in routine; il 61% sia in urgenza che in routine. Chi li fornisce solo in routine lavora a batch ed esegue di solito più batch al giorno (da 2 a 4).

Aspetti preanalitici ed analitici

Il 60% utilizza NT-proBNP (NT) e il 36% BNP; il 4% entrambe.

Il 98% esegue CQI e 86% partecipa a VEQ. La matrice utilizzata è plasma-EDTA (47%), plasma-eparina (30%) o siero (23%).

Il 48% risponde alle domande sul TAT. Il 70% dei rispondenti dichiara di stimare il TAT, il 40% di misurarlo. Per il TAT U i rispondenti dichiarano un TAT totale per il 10% <30 min; 60% <60 min; 10% <90 min; 20% >90 min, e un TAT di laboratorio per il 30% <30 min; 60% <60 min; 10% <90 min; per il TAT R dichiarano un TAT totale per 35% <60 min e 67% <60 min; un TAT laboratorio per il 19% <30 min; 61% <60 min; 12% <90 min; 8% <120 min.

Livelli decisionali ed intervalli di riferimento

Il 55% risponde alla domanda su LD, indicandolo prevalentemente (90%) in 100 pg/mL e alla domanda su LR, indicandone i valori basso/alto in relazione al PNC in uso (NT/BNP) e allo strumento utilizzato e desunto dai valori forniti dalla ditta (90%). Coloro che rispondono alla domanda su LD indicano di averlo derivato dal limite superiore di riferimento (URL) nel 76% dei casi e nel 6% da curve ROC; utilizzando come fonte i valori forniti dalla ditta (50%) o dalla letteratura (30%) o da entrambe (11%) oppure prodotti in laboratorio (9%).

POCT

I POCT, quando presenti (32% dei casi) sono per circa il 40% dedicati ai marcatori cardiaci e per circa 60% forniscono un mix di esami tra cui la cTn. La matrice utilizzata è sangue intero (60%) o plasma (40%). Il metodo è per il 50% lo stesso del laboratorio centrale. Il POCT è sottoposto a supervisione da parte del laboratorio nel 92%, allineato al metodo del laboratorio nel 73%, esegue CQI nel 100% dei casi e partecipa a VEQ in ≈20% dei casi.

Discussione

Le caratteristiche del campione

I 126 rispondenti alla III indagine sull’utilizzo dei marcatori miocardici in Italia rappresenta uno spaccato credibile della “vera” realtà italiana, anche se il numero probabilmente rappresenta circa il 15% delle sedi di diagnostica miocardica stimabili in Italia, ma sicuramente almeno il 30% dei Laboratori di strutture dotate di UC. Si deve tener conto della lunghezza del Questionario proposto (47 domande), che rappresenta oggettivamente un deterrente alla compilazione e che spiega la maggior aderenza della I indagine collaborativa AMNCO-SIBioC-SIMeL [1] del 2000 (5 domande). Tuttavia essi sono numericamente maggiori dei rispondenti alla II indagine del GdS MM SIMeL [2] tenutasi nel 2005 (n. 111) e rappresentano 19 Regioni italiane, contro le 16 del 2005.

Sia il numero percentuale che la composizione ricordano le caratteristiche della II survey CARMAGUE [13] (303 rispondenti da 28 Paesi europei; 34% ospedali universitari, 36% ospedali di distretto, 25% laboratori centrali, 5% cure primarie), piuttosto che l’indagine collaborativa italiana [1] condotta nel 2000, tutta rivolta ai centri con UC (303 rispondenti). Tuttavia la possibilità di identificare un gruppo consistente di rispondenti con UC nel nostro campione (Gruppo B n. 90) può consentire confronti con quella ricognizione (1) nonché, all’interno della attuale indagine, con il Gruppo senza UC (n. 36). I due gruppi rappresentano bene la diversità tra la prima linea diagnostica di Laboratori senza posti letto o di Ospedali/Case di Cura di prossimità e “spoke” di centri “hub” (non sempre inseriti nella presente indagine), dove l’ospedale non è aperto per 24 h nel 40% dei casi e il laboratorio non è aperto 24 h nel 92% dei casi, da un lato, e, dall’altro, la linea della cura degli “acuti” con il 100% degli ospedali aperti per 24 h con osservazione medica prolungata oltre le 12 h e il Laboratorio aperto 24 h nell’85% dei casi.

Il limite del campionamento, piuttosto, potrebbe essere rinvenuto nella prevalenza del Nord e del Centro dei rispondenti (n. 85), così come era avvenuto nella indagine del 2005. Ma se nella II indagine la classifica per numerosità dei rispondenti vedeva Toscana (n. 30), Lazio (n. 20) e Veneto (n. 12) con una prevalenza del Centro, nella III la classifica vede Veneto (n. 25), seguito da Toscana e Abruzzo (n. 14 ciascuna), Lombardia (n. 13), Friuli Venezia Giulia (n. 11) ed Emilia Romagna (n. 10) per una prevalenza del Nord (Est), in conseguenza delle regioni in cui si sono tenuti gli incontri scientifici con distribuzione dei Questionari.

I Laboratori che hanno risposto sia nel 2013 che nel 2005 sono circa la metà (46,4%) e in circa un terzo dei casi (32,3%) sono state le stesse persone. Tuttavia, nel Gruppo A solo il 22% dichiara di aver partecipato all’indagine del 2005, mentre nel Gruppo B il 55%. Questo depone per un allargamento dell’indagine, tra 2013 e 2005, alle prime linee diagnostiche, anche se la numerosità del Gruppo B consente, come già detto, un confronto corretto tra 2013 e 2005 (n. 90 vs 103).

Test di necrosi in Italia

Il dato positivo, rispetto alle sconfortanti evidenze della II indagine, è che il 100% dei rispondenti usa cTn come marcatore preferenziale per la diagnosi e la prognosi di SCA (non sostanziali differenze tra Gruppo A e B); e il 50% usa cTn come marcatore unico: tale utilizzo riguardava solo il 3% dei Laboratori italiani nel 2005 [2] e solo il 31% dei Laboratori europei nella survey CARMAGUE pubblicata nel 2012 [12]. Nonostante l’ampia letteratura contraria e le linee guida più recenti, persiste nel 50% dei rispondenti l’abitudine ad associare più marcatori, di CKMB massa (CKMBm) (≈26% vs 5% del 2005) oppure mioglobina (Myo) (10% come terzo o secondo marcatore delle combinazioni vs 25% del 2005). Evidentemente il perdurare in ambito italiano del sostegno alle vecchie idee IFCC del 1999 [14] ha avuto ancora effetto. Non va, d’altra parte, sottaciuta la resistenza, negli anni passati, all’abbandono di CKMB quale marcatore di necrosi da parte di una parte non piccola dei cardiologi italiani [8]. In un 10% dei casi compare come secondo marcatore PNC, forse sulla base del generico ma precoce significato di danno cardiaco assegnato da alcuni lavori a questi marcatori [15]. Nella recente survey europea [13], sorprendentemente, la combinazione di marcatori è scelta ancora dal 69% dei rispondenti.

Il dato negativo è che l’8% dei rispondenti associa ancora in combinazioni plurime CK totale, LDH e AST e nel 2,4% utilizza CKMB attività, marcatori totalmente obsoleti e metodologicamente inaffidabili. Questi comportamenti sono presenti nel Gruppo A con maggior prevalenza (marcatori obsoleti 10% vs 5% del Gruppo B) od esclusivamente (uso di CKMBa). È probabile che le difficoltà di confronto con un clinico stimolante e dell’aggiornamento delle evidenze scientifiche, caratteristiche dei piccoli centri, siano le ragioni principali del perdurare di metodi del tutto inadeguati. Tuttavia è importante ricordare che nel 2005 in Italia [2] le percentuali erano rispettivamente il 40% e 23% e nella survey europea [13] sono ancora il 59% (CK totale), il 30–34% (LDH-AST) e l’8,3% (CKMBa).

Protocolli e Linee Guida

Le risposte riguardanti Linee Guida e Protocolli non parrebbero altrettanto confortanti. Circa tre quarti dei rispondenti (vs 69% del 2005) dichiara di seguire le LG ma solo il 55% (vs 44% del 2005) ha protocolli condivisi con i clinici: quindi circa il 20% (vs 28% del 2005) seguirebbe le LG ma senza una condivisione scritta e circa il 25% (vs 27% del 2005) non segue le LG né ha protocolli. I dati, come si vede, sono solo di poco migliori di quelli del 2005 [2]. In particolare sarebbe preoccupante la costanza della percentuale di chi non ha né LG né protocolli—27% nel 2000 [1], 27% nel 2005 [2], 25% nel 2013—che sembrerebbe riflettere una vecchia posizione ideologica contraria alla troponina [16]. Tuttavia il dato è mitigato dalle differenze tra il Gruppo di prima linea (Gruppo A) e quello dei centri per acuti (Gruppo B): segue LG 53% vs 81%, ha protocollo condiviso 42% vs 59%, non segue LG e non ha protocollo 35% vs 7%. Appaiono anche qui le difficoltà culturali e scientifiche dei piccoli centri, mentre i centri maggiori mostrano un deciso miglioramento della situazione, anche tenendo conto del dato europeo di solo 43% di laboratori con protocollo condiviso.

Aspetti preanalitici ed analitici delle cTn

In Italia continua il predominio della cTnI (65% vs 69% del 2005), mentre in Europa [13] la situazione appare inversa (cTnT 55%) e più simile a quella rilevata nel nostro gruppo B (cTnI 54%, cTnT 46%). Circa il 50% degli intervistati dichiara di utilizzare una troponina ad alta sensibilità (≈35% di chi usa cTnI e ≈70% di chi usa cTnT), non correlato alla numerosità annuale dei test o alla complessità della struttura (dati non mostrati), seguendo quanto affermato dalle Ditte, piuttosto che quanto la letteratura scientifica ha ben chiarito recentemente [17].

Almeno il 93% utilizza CQI (7% ND) e il 100% nel Gruppo B (≈50% più volte al giorno), con valori sovrapponibili (100%) all’indagine 2005 [2] e decisamente migliori per la frequenza: 62% una volta al giorno. I dati europei (13) sono sovrapponibili: il 96,7% dei laboratori usa giornalmente il CQI. L’80% partecipa a VEQ, ma vi è una forte differenza tra i Gruppi (Gruppo A 22%, Gruppo B 92%). Se si tiene conto del Gruppo della cura per acuti il dato migliora notevolmente quello del 2005 (70%) ma è decisamente peggiore di quello europeo (92,2% di partecipazione). Nonostante i progressi è negativa la mancata partecipazione a VEQ, particolarmente nelle realtà meno complesse. Si ha talora l’impressione che ciò dipenda, almeno in parte, dal basso numero/anno di troponine e dal costo delle VEQ. Ciò fa sorgere la domanda se questa diagnostica debba essere eseguita in tutti i setting, a scapito della assicurazione della sua qualità.

La matrice utilizzata è in circa i due terzi plasma (8 volte su 10 con eparina) e in un terzo siero (39% nel Gruppo A, 32% nel Gruppo B), con piccoli spostamenti rispetto al 2005 (62% e 38% rispettivamente) e molto meglio di quanto riportato da CARMAGUE: solo il 32% dei laboratori europei utilizzerebbe plasma eparinato [13], nonostante l’acclarato effetto del plasma sui TAT [2].

Il TAT è un problema aperto per la gestione dei Laboratori italiani. Meno del 50% (38% nel Gruppo A, 49% nel Gruppo B) dichiara di misurare e circa il 30% dichiara di stimare (28% e 38% nei Gruppi A e B, rispettivamente) il TAT sia totale che di laboratorio; circa il 30% degli intervistati non risponde o da risposte insufficienti. Nel 2005 riferiva di misurare il TAT (di laboratorio) il 55% [2]. Nella survey europea [13] il 70% dei rispondenti dichiara di misurare il TAT (45% quello receipt-to-report e 25% quello sampling-to-report). 82% (81 e 83% Gruppo A e B, rispettivamente) dei nostri intervistati dichiara un TAT totale inferiore a 60 min e il 92,5% (88 e 93% Gruppo A e B, rispettivamente) un TAT di laboratorio inferiore a 60 min; nel 2005 era l’84%. Nella I Survey CARMAGUE 208 laboratori europei dichiararono un TAT <60 min nell’88% dei casi [10]. Nonostante la ben conosciuta diversità di valutazione dei TAT tra laboratoristi e clinici [18], sembrerebbe esserci un miglioramento sia nel numero di coloro che monitorano questo fondamentale aspetto dell’efficienza e della qualità sia nel tempo medio impiegato a rispondere che si avvicinerebbe progressivamente a quanto suggerito dalle Linee Guida internazionali [19], in maniera sostanzialmente sovrapponibile nei gruppi a minore e maggiore complessità clinica. Tuttavia ciò che colpisce è che il 46% dei rispondenti dichiara lo stesso valore sia per il TAT totale che per quello di Laboratorio e solo il 21,6% differenzia i due valori (prevalentemente assegnando <30 min per il TAT di laboratorio e <60 min per quello totale). L’insieme delle risposte dimostra, a nostro avviso, una diffusa carenza di conoscenze teoriche e di buona pratica per quanto riguarda questo aspetto fondamentale del Laboratorio e testimonia la necessità, individuata dal GdS MM nel 2012 [20], di dedicare particolari sforzi educativa nella direzione di esplicitare i significati e le pratiche del TAT.

La maggior parte dei rispondenti non applica reflex test in caso di una prima troponina positiva, probabilmente perché convinti della bontà del metodo e del suo controllo di qualità. Solo il 12% ripete cTn ad orari prestabiliti, aggiunge altro marcatore o testa su altro strumento.

Livelli decisionali ed intervalli di riferimento delle cTn

Come già detto, le risposte su LD e LR sono complicate da interpretare. Circa 80% usa LD, circa il 45% usa LR e circa il 25% dichiara di usare un LD IMA, con sostanziali differenze tra Gruppo A e B. Nel 2005 [2] il 68% dichiarava di utilizzare LD.

Espresse in questi termini le risposte sembrerebbero indicare un lento miglioramento, nel senso del superamento del doppio livello di LD e una diffusione della conoscenza di LR.

Tuttavia, se si tiene conto che circa il 40% non risponde (2005: 32%; CARMAGUE: 9%) e che i valori di LR e LD sono spesso sovrapponibili, l’impressione globale è di una diffusa confusione intorno a questo problema. In effetti, ciò è favorito dal dibattito in letteratura scientifica tra i sostenitori di un LD pari al 99 pc e, quindi, di fatto sovrapponibile a un LR, e coloro che sostengono la necessità di verificare anche la performance del metodo attraverso l’inserimento della valutazione del livello al quale è garantito un CV <10% [21, 22]. L’impressione di una diffusa carenza di conoscenza proviene anche dalle domande riferite ai criteri di definizione di LD e alle fonti di LD e LR. Nel primo caso il 30% sceglie 99 pc + CV10%, il 50% solo 99 pc e il 12% solo CV10%. In Europa [13] 41% CV10% e 38% 99 pc. È interessante ricordare che nel 2005 [2] questo item non era stato valutabile per l’incongruità delle risposte fornite. Le fonti sia per LD che per LR sono principalmente i dati forniti dalle Ditte (56 e 55% rispettivamente, con differenze importanti tra Gruppo A—66 e 75%—e Gruppo B—51 e 52%), dalla letteratura (13 e 19% rispettivamente) o da un mix letteratura e dati di ditta (13 e 12% rispettivamente) con importanti differenze tra Gruppo A e B e solo nel 18% prodotti o verificati in Laboratorio (Gruppo A 8 e 0%; Gruppo B 24 e 25%). L’affidarsi alle fonti commerciali è confermato dai livelli descritti, che sono a larghissima maggioranza quelli suggeriti dalle ditte per le strumentazioni utilizzate. Nella indagine del 2005 [2], <5% dei laboratori sembrarono essere in grado di produrre e verificare i dati ed anche a livello europeo [13] LD e LR appaiono desunti principalmente dai dati di ditta (51,9 e 61,6% rispettivamente) e secondariamente dalla letteratura (29,6%), lasciando a circa 10% la quota di coloro che producono o verificano in casa i livelli decisionali o gli intervalli di riferimento. È evidente che la determinazione di LD e LR in casa presuppone oltre che una solida conoscenza scientifica anche una adeguata casistica e il tempo sufficiente per dedicarsi. Da questo punto di vista, che circa il 20% dei laboratori per acuti si cimenti in questa impresa è incoraggiante rispetto al passato ma ancora deludente in assoluto. Si ha la sensazione che il Laboratorio sottovaluti, da un lato, l’importanza della verifica delle performance strumentali in una cieca fede nella tecnologia e, dall’altro, l’occasione di lavoro all’interfaccia che la valutazione analitica consente nel momento in cui si deve condividere con il clinico i pazienti o i soggetti da utilizzare e le applicazioni cliniche dei risultati ottenuti.

Peptidi natriuretici ed altri marcatori miocardici in Italia

Circa i tre quarti dei rispondenti (57% Gruppo A, 87% Gruppo B) utilizza PNC (circa il 60% nel Gruppo A e circa l’80% nel Gruppo B) prevalentemente in favore del DE e/o della Cardiologia (circa 60%) ma anche dei pazienti esterni (circa il 55%, con importanti differenze tra Gruppo A—86%—e Gruppo B—48%) e per circa l’80% in (o anche in) urgenza.

Pare qui di individuare una diffusione dei PNC in Italia secondo quanto proposto dalla Letteratura come strumento di diagnosi differenziale della dispnea acuta da un lato e come marcatore utile nella prognosi e follow-up delle SCA [23] dall’altro, diventando uno strumento indispensabile soprattutto nella cura dei pazienti più gravi, al punto di essere associato in un 10% dei casi alla cTn nella diagnosi e prognosi delle SCA.

Colpisce, di contrasto, la irrilevanza dell’utilizzo di altri marcatori: solo il 2,4% cita la hs CRP come marcatore aggiuntivo. Il Laboratorio italiano, sulla base della letteratura più saggia e delle proprie esperienze dirette, ha fatto propria la visione critica rispetto alla spinta all’utilizzo di marcatori miocardici privi di evidenze scientifiche solide [24], anche quando proposti in modo continuativo [25].

Aspetti preanalitici ed analitici

Circa il 55% utilizza NT-proBNP.

L’utilizzo di CQI è al 97% e quello alla VEQ oltre 80%, anche se per VEQ con differenze importanti tra Gruppo A (28%) e Gruppo B (86%). La matrice utilizzata è quella consigliata nel 90% per gli utilizzatori di BNP e nel 75% per gli utilizzatori di NT-proBNP (CARMAGUE 86% e 69%, rispettivamente) [26].

Anche per PNC il TAT è ancora un problema: il 37% non risponde, il 62% dei rispondenti lo stima e non lo misura, i TAT U e R sono spesso sovrapponibili. I TAT totali sono peraltro superiori a quelli di laboratorio: TAT U totale <60 min 70% e di laboratorio 88%; TAT R totale <60 min 33% e di laboratorio 79%.

Livelli decisionali ed intervalli di riferimento

Anche per PNC i dati relativi a LD e LR sono complessi e depongono per una diffusa mancanza di conoscenze teoriche e pratiche. I rispondenti alle domande su LD e LR sono pochi (circa la metà e circa un quarto dei rispondenti, rispettivamente), per lo più sovrappongono i dati, indicano valori relativi allo strumento utilizzato e dichiarano di averli tratti prevalentemente dalle informazioni fornite dalle Ditte (60%; Gruppo A 90%, Gruppo B 50%) o al massimo dalla letteratura (23%; Gruppo A 10%; Gruppo B 30%) e raramente prodotti o verificati in Laboratorio (8,3%; Gruppo A 0%, Gruppo B 9%), talora da curve ROC (5%).

Il quadro è simile a quanto descritto dallo studio CARMAGUE, recentemente pubblicato [27], che segnala come i LD dichiarati siano solitamente 100 ng/L per BNP e 125 ng/L per NT-proBNP, derivati nel 55% dai dati forniti dalla ditta produttrice nel 55% dei casi, modulati per sesso ed età solo nel 10% dei casi e con doppi livelli solo nel 50% dei casi.

POCT

La penetrazione dei POCT continua. Nel 2005 [2] solo il 16% dei rispondenti riferiva la presenza di POCT nella propria realtà. Oggi il 38% dei 102 rispondenti (82% del campione totale) risponde affermativamente.

La matrice utilizzata è sangue intero o plasma.

Purtroppo il metodo usato in POCT è lo stesso del Laboratorio solo nel 30% (Gruppo A 10%, Gruppo B 50%), facendo perdere l’utilizzo del primo punto della curva della troponina, data l’ampia eterogeneità dei metodi e dei risultati. Tuttavia i metodi POCT sono allineati al metodo del laboratorio in circa il 70% (Gruppo A 70%, Gruppo B 73%), sottoposti a supervisione nel 90% (Gruppo A 85%, Gruppo B 92%) e controllati con CQI nel 97% (Gruppo A 90%, Gruppo B 100%) dei casi. Solo nel 20% del Gruppo per acuti partecipa a VEQ.

I dati confermano e migliorano quelli della nostra indagine del 2005, in cui l’omogeneizzazione (metodo identico e/o allineato) al laboratorio centrale era al 67% e la supervisione all’88%, e sono decisamente migliori della situazione europea come appare dalla II survey CARMAGUE [13], dove sui rispondenti alle domande sul POCT (25% del campione totale; n. 77) il 67% ha POCT allineati al laboratorio centrale ma solo il 58,5% ha supervisione e utilizzo del CQI. La bassa partecipazione a VEQ, che è comprensibile se riferita alla VEQ classica, dovrebbe essere sostituita da VEQ per i POCT gestite dal Laboratorio Centrale.

Sembrerebbe, comunque, che l’attenzione delle Società Scientifiche che, come SIMeL, non hanno demonizzato i POCT ma hanno sempre ricordato i criteri e le regole [27] per farli funzionare adeguatamente (un modo di declinare la medicina di laboratorio con lo stesso livello di controllo e di significatività del risultato) abbia avuto un effetto importante sui comportamenti dei laboratoristi italiani.

Conclusioni

Da un campione significativo di utilizzatori di marcatori miocardici in Italia, in quanto spaccato vero della realtà e non solo focalizzato sui centri con UC e quindi confrontabile sia con la precedente Indagine GdS MM del 2005 [2] sia con la II Survey europea CARMAGUE del 2012 [13], esce un quadro che ha ampi chiaroscuri.

I dati positivi sono: l’uso totale (100%) della cTn come marcatore preferenziale nella diagnosi e prognosi di SCA e la crescita fino al 50% dei Laboratori che utilizzano la cTn da sola; la conoscenza e accettazione delle LG fino all’80% (nel Gruppo B); la partecipazione a CQI ≈100% e a VEQ 92% (nel Gruppo B); la mancata proliferazione dei tanti marcatori miocardici proposti senza sufficienti evidenze scientifiche; la diffusione dei PNC nel 70% dei casi, con livelli di controllo (CQI e VEQ) adeguati, almeno nel Gruppo B; una diffusione di POCT allineati, controllati (CQI) e supervisionati dal Laboratorio.

I dati negativi, viceversa, appaiono essere: il persistere di circa un quarto dei laboratori che non seguono le linee guida per cTn; solo il 55% ha protocolli condivisi; l’uso nel 50% di combinazioni di marcatori in SCA e nell’8% (Gruppo A) di marcatori totalmente obsoleti; l’uso nel 30% di matrice siero, con effetti importanti sui TAT; un tasso di misurazione dei TAT inadeguato e, soprattutto, una non chiara nozione delle fasi dello stesso, che rileva una carenza di consapevolezza dell’importanza non solo qualitativa ma comunicativa dello strumento; una limitata conoscenza delle problematiche relative a LD e LR, con un ampio affidarsi ai valori suggeriti dalle Ditte (tra il 50 e il 60%), anche nel Gruppo B, e uno scarso interesse o possibilità di produzione e/o verifica di dati in casa (25% nel Gruppo B); l’uso del medesimo metodo del Laboratorio Centrale nei POCT solo nel 30% dei casi.

I limiti relativi a TAT e LD/LR sono presenti in egual modo anche per PNC, testimoniando l’esistenza di un problema culturale (maggiore nel Gruppo A) di cui la Società Scientifica e il suo GdS MM devono farsi carico, in particolare oggi quando la adozione progressiva delle “nuove” troponine ad alta sensibilità renderà ancora più problematica la conoscenza e la pratica dell’uso dei marcatori miocardici [28, 29].

Le differenze tra Gruppo A e B pongono la questione se l’esecuzione di marcatori così importanti debba essere fornita in ogni sito a discapito della qualità o se sia necessaria una riorganizzazione delle strutture di prima accoglienza.

L’indagine ribadisce, a nostro avviso, come qualità analitica (metodo, matrice, CQI, VEQ, TAT), interpretazione (LR, LD; LG) e lavoro all’interfaccia (protocolli condivisi; TAT; produzione in casa di LR e LD) non sono aspetti separabili, perché tutti necessari per produrre risposte adeguate alla richiesta clinica. Conoscenze teoriche, tensione alla certificazione dei processi, colloquio con i clinici e attività coordinata dell’equipe sono i pilastri per una buona medicina di laboratorio, anche nel campo della diagnostica cardiologica.