Introduzione

La sostituzione protesica dell’articolazione coxofemorale è in continua crescita e interessa pazienti sempre più giovani ma, nonostante gli eccellenti risultati clinici a medio-lungo termine, un numero considerevole di pazienti subirà un successivo intervento di revisione parziale o totale dell’impianto protesico. Il fallimento della componente acetabolare si associa quasi sempre alla presenza di difetti ossei variabili da cavitario a segmentario fino alle forme più gravi di discontinuità pelvica. Le perdite di tessuto osseo possono essere ricolmate in relazione all’entità del danno con innesti ossei morcellizzati, massivi o con augment metallici porosi. Inoltre, in relazione alla localizzazione e alla resistenza meccanica dell’osso ospite residuo, sarà possibile utilizzare coppe cementate, press fit o anelli antiprotrusione. Gli obiettivi da perseguire in ogni revisione sono il rispetto dei tessuti molli, la ricostruzione del patrimonio osseo e la stabilità assoluta dell’impianto. Queste finalità sono tutte fortemente raccomandabili nei pazienti giovani che potrebbero necessitare di un’ulteriore procedura di revisione.

Storia dell’innesto osseo

L’era moderna degli innesti ossei inizia nel 1668 con il chirurgo tedesco Jacob van Meekeren che esegue un innesto di osso eterologo di cane sulla teca cranica di un soldato ferito in battaglia [1]. Il soldato guarì ma venne scomunicato perché ritenuto impuro. Il soldato chiese al chirurgo di asportare l’innesto osseo, che risultò completamente integrato. Il primo innesto osseo autologo venne eseguito in Germania nel 1820 dal chirurgo Philips von Walter che richiuse il foro di una trapanazione cranica con un frammento d’osso. Nel 1861 Leopold Ollier, dopo i suoi studi sulla rigenerazione ossea, pubblica il Traité de la régénération des os dove, per la prima volta, viene usato il termine “innesto osseo” o greffe osseuse. Nello stesso periodo, Barth asseriva che l’osso, il periostio e il midollo osseo innestati morivano e venivano sostituiti dalla generazione di nuovo osso prodotto dalle cellule vive dell’osso circostante. Nel 1975, Hastings e Parker descrivono il trattamento di una protrusione acetabolare con una tecnica simile all’attuale impaction bone-grafting [2]. Tre anni dopo, McCollum e Nunley mostrarono le potenzialità dell’allograft morcellizzato nel trattamento della protrusione acetabolare [3]. Nel 1983, Roffman et al. dimostrarono nell’animale le potenzialità di sopravvivenza delle chips ossee sottostanti lo strato di cemento [4]. L’innesto si presentava vitale con presenza di neoformazione ossea sull’interfaccia cemento-osso. Successivamente, Mendes et al. [5] svilupparono per la protrusio acetabolare la tecnica con mesh metalliche, chips ossee e cemento. Gli autori seguirono otto pazienti per sei anni senza eseguire revisioni, confermando l’incorporazione dell’innesto osseo. Nel 1984, Slooff et al. modificarono la tecnica definendola impaction bone-grafting [6]. I difetti ossei venivano gestiti con mesh metalliche, chips ossee impattate e la coppa di polietilene, applicata pressurizzando il cemento. La tecnica dell’impaction bone-grafting sul femore prossimale è stata sviluppata da Ling e collaboratori nel 1991 e successivamente descritta da Gie et al. nel 1997. L’efficacia di queste tecniche è supportata da studi clinici, radiografici, biomeccanici e istologici condotti su animali [811]. Sporer et al. [12] e O’Rourke et al. [13] riportano la ricostruzione dell’acetabolo utilizzando come allograft il femore distale o la tibia prossimale fissata con viti all’ileo prossimale. La cavità acetabolare veniva preparata con alesatori e la coppa non cementata multifori inserita a press fit con aggiunta di viti. Gli autori riportano 23 ricostruzioni acetabolari in difetti tipo Paprosky IIIA. A un follow-up medio di 10 anni, 5 dei 23 pazienti erano stati revisionati per mobilizzazione asettica. Considerando come end-point la mobilizzazione radiografica, la sopravvivenza a 10 anni risultava del 74%. Garbuz et al. [14] riportano 33 revisioni acetabolari eseguite con allograft massivo supportante oltre il 50% della coppa. Al follow up medio di 7 anni il tasso di fallimento era del 45%. Nei vari studi l’elevato tasso di fallimenti è stato osservato quando l’innesto strutturale sostituiva oltre il 50% dell’acetabolo senza il supporto di una cage [15]. L’utilizzo su larga scala degli innesti ossei omologhi si è sviluppato con la creazione delle moderne banche dell’osso, nate con le nuove tecniche di refrigerazione. Nel 1947, Bush e Wilson riportano la necessità di conservare gli innesti ossei a una temperatura di −20 °C [16]. Nel 1951, Mouly, Sicar e Herbert fondarono la prima banca dell’osso francese, ma la prima grande banca per innesti osteoarticolari congelati venne creata da Gross nel 1970 [17].

Interazione tra biologia e meccanica

I risultati a medio-lungo termine delle revisioni acetabolari eseguite con osso omologo dipendono dall’interazione biologica tra innesto e osso ospite. Questo processo è strettamente correlato alla stabilità meccanica del complesso osso ospite, innesto e protesi. Uno dei primi report istologici, condotto su un caso di impaction bone-grafting femorale a 3,5 anni dall’intervento di revisione [18] evidenziò come l’innesto fosse stato in gran parte sostituito da nuovo osso corticale per oltre il 90%. L’interfaccia osso-cemento risultava simile a quanto rilevabile in caso di impianto primario con aree di contatto diretto tra tessuto osteoide e cemento [19]. Il processo di osteointegrazione viene condizionato da tre fenomeni:

  1. 1.

    osteoinduzione: la morcellizzazione incrementa la superficie di contatto rilasciando fattori di crescita

  2. 2.

    osteoconduzione: l’innesto impattato agisce come impalcatura

  3. 3.

    stimolo meccanico: questo produce deformazioni che stimolano la formazione ossea.

Riassumendo, l’incorporazione dell’innesto osseo dipende dall’interazione tra fattori biologici e meccanici [20]. I fattori biologici più importanti sono la qualità dell’innesto, le modalità di conservazione e la vascolarizzazione dell’osso ospite. I fattori meccanici sono la stabilità del costrutto e la deformazione meccanica dell’innesto [21].

La revisione acetabolare con allograft osseo può essere condotta utilizzando osso strutturato o morcellizzato con o senza la protezione di una cage [22]. Solitamente, quando l’innesto strutturale ricostruisce oltre il 50% dell’acetabolo, è necessario proteggerlo dal carico con una cage. I difetti contenitivi, talvolta molto ampi, possono essere ricolmati con un voluminoso innesto osseo morcellizzato e pressurizzato. La coppa di polietilene viene posizionata pressurizzando il cemento [6], o con l’interposizione di una cage a protezione dell’innesto osseo (Fig. 1). I difetti ossei segmentari non contenitivi dell’acetabolo vengono classificati come superiori o inferiori al 50% e possono richiedere l’uso di un allograft strutturale. L’uso dell’innesto massivo è controverso e solitamente viene limitato ai casi con estese perdite ossee [23, 24]. Nel 1994, Paprosky e Magnus [25] pubblicarono i risultati delle loro revisioni eseguite utilizzando con allograft strutturali e coppe cementate. In generale, quando la ricostruzione superava il 50% dell’acetabolo risultava indispensabile proteggere l’innesto con una cage, utile al ripristino del centro di rotazione, nel garantire un carico uniforme sull’allograft con stimolazione del rimodellamento e dell’osteointegrazione dell’innesto con l’osso ospite [26]. Le cage e gli anelli antipotrusione permettono al chirurgo la cementazione dell’inserto in polietilene in ogni posizione utile, indipendentemente dall’orientamento dell’anello, proteggendo l’osso strutturato o morcellizzato durante la fase di rimodellamento (Fig. 2). In caso di fallimento sarà possibile eseguire la nuova revisione anche con una coppa non cementata [27]. Le indicazioni per l’uso di un innesto osso massivo o morcellizzato con cage non sono chiare. Il vantaggio dell’innesto massivo è il ripristino di un’estesa perdita ossea con supporto meccanico immediato. Lo svantaggio è rappresentato dalla lenta e limitata rivascolarizzazione con progressivo indebolimento meccanico [28, 29]. Al contrario, la ricostruzione con osso omologo morcellizzato e cage mostra un rapido rimaneggiamento e incorporazione dell’innesto. La stabilità strutturale viene garantita dalla corretta e meticolosa tecnica di impattazione dell’innesto e impianto della cage (Fig. 3) [28].

Fig. 1
figure 1

a Paziente femmina, 69 anni. Seconda revisione con mobilizzazione della coppa. b 18 mesi postop.: dopo innesto di osso omoplastico morcellizzato decongelato e impianto di anello di BS con segni di rimaneggiamento osseo. c 8 anni postop.: completa osteointegrazione dell’innesto con lamina quadrilatera, senza segni di radiolucenza

Fig. 2
figure 2

a Paziente femmina, 76 anni. 12 anni postop.: mobilizzazione coppa cementata con innalzamento del centro di rotazione e deficit della colonna anteriore. b Post-rimozione del cemento e del tessuto di granulazione reattivo; cruentazione del piano osseo. Tutta la superficie acetabolare si presenta sanguinante. c Risultato post-innesto di osso morcellizzato decongelato omoplastico e impianto di un anello di Burch Schneider con flangia distale inserita nell’osso ischiatico. d 11 anni postop.: l’osso innestato si presenta osteointegrato e l’anello risulta stabile senza linee di radiolucenza

Fig. 3
figure 3

a Paziente femmina, 84 anni. Affetta da artrite reumatoide. Mobilizzazione coppa acetabolare per frattura lamina quadrilatera e colonna anteriore. b Accesso anteriore all’anca. Innesto di osso omologo morcellizzato decongelato e impianto di anello di Burch Schneider. c 18 mesi postop.: rimodellamento osseo senza segni di radiolucenza

Indicazioni

Piccoli difetti cavitari possono essere gestiti con un semplice incremento dell’alesaggio, aumentando la superficie di contatto tra osso nativo e impianto. La coppa viene impattata nella cavità acetabolare con o senza l’ausilio di viti. Difetti cavitari contenitivi maggiori con bordo, colonne e tetto acetabolare conservati (Paprosky I) vengono ricolmati con osso morcellizzato e l’impianto di una coppa press fit con o senza viti aggiuntive [30, 31]. In questi casi la letteratura raccomanda il contatto della protesi con almeno il 50% di osso nativo [30, 32].

In caso di deficit segmentari superiori, il chirurgo potrà considerare la possibilità di elevare il centro di rotazione utilizzando una coppa emisferica o di ripristinarlo con un innesto osseo massivo e una coppa press fit con o senza viti. Le cage antiprotrusione sono solitamente indicate nei difetti Tipo III con moderato innalzamento del centro di rotazione, distruzione del tear drop e della linea di Kohler. La cage, costruita in lega di titanio, trasferisce le forze di carico alla periferia della cavità acetabolare mediante le flange iliaca e ischiatica che garantiscono un completo e intimo contatto con l’osso nativo. La stabilità primaria dell’impianto contro l’osso iliaco viene raggiunta con viti da spongiosa [33, 34]. La cage protegge l’innesto osseo sottostante dal carico evitando il riassorbimento, permettendo il processo di rimodellamento e l’osteointegrazione con l’osso nativo. La reale sopravvivenza delle cage non è chiara ma varia dal 70 al 100%, in accordo con Sembrano e collaboratori, che riportano gli endpoint di fallimento dei vari studi [34, 35]. Regis et al., in revisioni Paprosky IIIA (32%) e IIIB (68%) trattate con allograft strutturato e cage antiprotrusione, hanno riportato un tasso di sopravvivenza dell’87% (49/56) a un follow-up medio di 11,7 anni, avendo come endpoint l’evidenza radiografica di osteointegrazione e rimodellamento dell’innesto [36]. La scarsa porosità della superficie della cage può compromettere l’osteointegrazione con l’osso ospite [34] e il suo uso nella discontinuità pelvica (Fig. 4) può talvolta associarsi a rottura da fatica [30, 38].

Fig. 4
figure 4

Paziente femmina, 74 anni. 14 anni postop. a Mobilizzazione coppa acetabolare con discontinuità pelvica. b Controllo intraop. dopo innesto di osso spongioso morcellizzato decongelato, impianto di anello antiprotrusione di Burch Schneider e cementazione di coppa in polietilene. c Controllo rX a 12 mesi con segni di rimodellamento dell’innesto e consolidazione della discontinuità pelvica

Discussione

La tecnica dell’impaction bone-grafting consente al chirurgo di creare un costrutto stabile e al contempo di ripristinare il bone stock per future revisioni. Le particelle di osso autologo garantiscono un’affidabile osteointegrazione grazie alle intrinseche proprietà osteogenetiche. L’allograft spongioso morcellizzato presenta proprietà osteoconduttive e funziona da scaffold, esaltando così la neoformazione ossea sulla sua superficie. Gli studi istologici hanno dimostrato una consistente incorporazione delle particelle di allograft utilizzato nel trattamento del deficit osseo acetabolare [45, 50, 51, 53]. Diversi studi riportano ottimi risultati nelle revisioni acetabolari con grave bone loss, utilizzando innesto osseo omoplastico e coppe cementate [40, 42, 4648]. Negli ultimi decenni, gli impianti non cementati hanno acquisito maggior popolarità sia nei primi impianti che negli interventi di revisione per la maggior semplicità d’uso, la fissazione biologica e il tasso di successo. Gli studi condotti sulla revisione acetabolare con impaction bone-grafting e coppe non cementate hanno dimostrato risultati incoraggianti [44, 49, 50, 52] qualora il contatto coppa porosa-osso ospite sia di almeno il 50% della superficie totale [41, 43, 51]. Garcia-Cimbrelo et al. [41] riportano un elavato tasso di fallimenti con l’uso di coppe non cementate qualora il difetto osseo sia superiore al 50%. Per questa ragione, quando il residuo stock di osso ospite risulta insufficiente a supportare la coppa porosa non cementata, viene raccomandato un innesto osseo strutturale con associato impaction bone-grafting e un anello di rinforzo ogniqualvolta vi sia un significativo deficit osseo in corrispondenza della colonna posteriore o del tetto acetabolare [29, 52, 53]. Recentemente, gli stessi autori, in caso di fallimento dell’anello o quando l’osso ospite residuo risulti inferiore al 50%, propongono l’uso di augments metallici porosi [44, 48, 49, 54, 55]. Perka e coll. [39] riportano come unica controindicazione all’uso dell’anello antiprotrusione il deficit di colonna posteriore. Gli studi radiografici evidenziano un’affidabile osteointegrazione e rimodellamento dell’innesto osseo auto- e alloplastico con formazione di trabecole ossee nei primi sei mesi. L’eventuale formazione di linee di radiolucenza non sono state associate a una maggior incidenza di migrazione o mobilizzazione [42, 43]. La revisione acetabolare con la tecnica dell’impaction bone-grafting associato all’uso di coppe cementate, press fit o ad anelli antiprotrusione rimane una tecnica sicura e affidabile nella gestione dei difetti ossei cavitari o segmentari nella chirurgia primaria e nella revisione delle componenti acetabolari.