Abstract
Most proximal humeral fractures occur in elderly patients, and can be treated non-operatively with good functional outcomes. Percutaneous, intramedullary, and locked-plate fixation can be successful fixation strategies for proximal humeral fractures, with the correct indications and careful patient selection, based on the anatomy and biomechanics of the injury. Each method has its advantages and disadvantages. A variety of underlying factors have to be considered, related to the patient (e.g., comorbidity, functional demand), the fracture (e.g., osteoporosis), and the surgeon (e.g., experience). Low local bone mineral density, humeral head ischaemia, residual varus displacement, insufficient restoration of the medial column, and non-anatomic reduction promote failure of fixation and impair functional outcome. Regardless of the technique selected, meticulous surgical technique and anatomic reduction, MIPO and respect of soft tissues are essential.
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Introduzione
Le fratture dell’omero prossimale sono una patologia di difficile trattamento per la qualità dell’ osso epifisario, l’età dei pazienti, la riduzione difficoltosa, e la riabilitazione problematica.
Sono fratture in aumento, in particolare nelle donne anziane [1]. Sono al terzo posto tra le fratture più frequenti dopo i 65 anni [2]. La caduta da stazione eretta a gomito esteso trasmette all’omero un carico assiale che, nei pazienti con osteopenia, induce lesioni da bassa energia [3, 4].
Le fratture ad alta energia, conseguenti per lo più a incidenti stradali e a traumi sportivi, sono di pertinenza dei giovani adulti di sesso maschile, ma rappresentano soltanto il 4,7% del totale. In questi casi, le lesioni associate, le lussazioni, le fratture della testa, la comminuzione e il coinvolgimento delle parti molli complicano ulteriormente prognosi e trattamento [2, 3]. Nel 47% dei casi le fratture sono stabili e non necessitano di un trattamento cruento [1].
Sebbene l’incidenza delle fratture dell’omero prossimale non sia molto cambiata, negli anni e negli anziani è cresciuta sensibilmente la percentuale di fratture trattate chirurgicamente [1]. È ancora lontano il consenso circa il trattamento più utile a migliorare il risultato e ridurre il ricorso alla chirurgia di revisione. Ancora oggi, l’atteggiamento conservativo svolge un ruolo rilevante nel trattamento delle fratture stabili, mentre il trattamento chirurgico delle fratture instabili richiede ogni tipo di osteosintesi, dai fili di K, alle placche, ai chiodi endo-midollari, e ancora alle protesi anatomiche o inverse [5, 6].
Classificazione
Una classificazione dovrebbe essere intuitiva, completa, utile dal punto di vista clinico e decisionale. Naturalmente, quanto più la classificazione è complessa, meno si presta ad essere condivisa.
La classificazione di Neer distingue l’omero prossimale in quattro parti: la testa, la diafisi, la grande e la piccola tuberosità; si basa sullo spostamento che questi frammenti subiscono per effetto della spinta dei muscoli rotatori, e sulla direzione della dislocazione, anteriore o posteriore, della frattura [7].
La classificazione AO, che è altrettanto diffusa, attribuisce a queste lesioni il codice 11, a cui segue la lettera A o B o C, e i numeri 1, 2, 3, a seconda del grado di coinvolgimento articolare e dell’entità degli spostamenti, con l’intento di consentire la lettura della frattura e la pianificazione [8].
La classificazione Lego-Codman, in accordo con Hertel, costituisce un sistema completo di grande importanza clinica basato sulle principali linee di frattura, sull’entità della scomposizione, e sul coinvolgimento e l’angolazione della testa [9]. Questo fa di questa classificazione quella più confrontabile, che esprime al meglio i fattori predittivi dello sviluppo di complicanze e di necrosi vascolare [10]. Questi fattori sono principalmente la frattura del collo anatomico, la brevità dell’estensione metafisaria postero-mediale della testa, e la comminuzione del muro mediale [10]. Dal momento che non tutte le ischemie evolvono in necrosi, non tutte le necrosi divengono sintomatiche e devono essere trattate.
Diagnosi
Sono necessarie almeno due proiezioni radiografiche. È sempre più frequente il ricorso allo studio TAC, almeno nei casi più complessi, per meglio definire la personalità della frattura, la comminuzione e le lesioni associate [11].
Nell’evenienza di una lussazione, è consigliabile innanzitutto una valutazione neurologica e vascolare, in particolare del nervo ascellare e del plesso brachiale.
Trattamento chirurgico
Il trattamento conservativo è ancora oggi indicato nella maggior parte dei casi, e questo si spiega con il numero elevato di complicanze che seguono il trattamento cruento, indipendentemente dalla tecnica utilizzata. Questo vale per le fratture più stabili, ma ancor più per le fratture complesse in quattro parti [12].
Indubbiamente, quando si voglia minimizzare il rischio di pseudoartrosi e cattiva consolidazione, bisogna ricorrere al trattamento cruento, che deve avere come obbiettivo la riduzione anatomica, la sintesi stabile, il mantenimento della vascolarizzazione e la mobilizzazione precoce e sicura [13, 14]. Per far questo, la chiave di volta è la riduzione della testa per far posto alle tuberosità ed evitare conflitti. Ottenuto ciò, bisogna contrastare i collassi in varo dovuti all’incompetenza del muro mediale [15].
Sono poche le occasioni in cui bisogna procedere in urgenza, limitate all’esposizione, alle lesioni neurologiche e vascolari, e alla concomitante lussazione.
Posizionamento
La posizione così detta “beach chair” è di gran lunga la preferita, nonostante richieda qualche momento in più di preparazione rispetto a quella supina, e imponga di contrastare lo spostamento posteriore della diafisi.
I vantaggi risiedono nell’ampio dominio della spalla in tutte le vie di accesso, e nella possibilità di ottenere delle immagini complete orientando l’arto su tutti i piani ed evitando mal posizionamenti degli impianti.
Fili di K
Non è una tecnica così comune nell’adulto in presenza di osso porotico, ma i fili possono comunque controllare la tendenza all’impattazione della testa e fornire una stabilità elastica sufficiente alla formazione di callo osseo (Fig. 1). Richiedono una rimozione precoce a sei settimane e un controllo frequente [16].
Si procede dapprima a una riduzione con manovre esterne, si individua e perfora la diafisi omerale all’apice della V deltoidea tra deltoide prossimalmente, bicipite anteriormente e tricipite posteriormente.
Attraverso l’opercolo si introducono i fili di K smussati e angolati di 20–30°. Si fanno progredire i fili nella testa omerale, disponendoli su tre piani, con l’estremità a distanza di sicurezza dalla superfice articolare. Infine, i fili sono ripiegati a uncino sotto la cute (Fig. 2).
I movimenti attivi sono in genere consenti soltanto alla rimozione dei fili; raramente si assiste a una rigidità quando la sintesi è percutanea senza aggredire lo spazio sotto acromiale.
Chiodi
Ai chiodi vengono riconosciuti vantaggi biomeccanici quali forte stabilità primaria, riduzione della trasmissione delle forze di carico all’osso corticale, stimolo all’osteogenesi riparativa e mineralizzazione ossea, minimizzazione delle sollecitazioni in flessione, neutralizzazione delle forze rotazionali e di taglio, risparmio dell’ematoma pre-fratturativo e conseguente proliferazione vascolare periostale [17, 18].
Se si analizzano i problemi legati al tipo di impianto quali una cattiva riduzione dovuta a errori di introduzione, lesioni vascolari e nervose, insufficienza della cuffia dei rotatori, si comprende come il corretto punto di ingresso rivesta un ruolo centrale per il successo della sintesi [19].
Per evitare queste complicanze, è dunque importante che il chirurgo abbia una perfetta conoscenza del disegno del chiodo e dello strumentario da utilizzare per l’inserzione guidata delle viti.
La riduzione della frattura e il ripristino dell’orientamento della testa con manovre esterne o di joystick deve sempre precedere l’introduzione del chiodo [20].
I chiodi di recente generazione si avvalgono della fissazione angolare su più piani, che costituisce un valore aggiunto nell’osso osteoporotico [21]. È importante inserire il maggior numero di viti anche orientate nel quadrante posteriore della testa, dove sembra esservi una maggiore possibilità di presa, e contrastare la scomposizione in varo con una vite obliqua e scegliendo un punto di introduzione in asse con la diafisi.
Il punto di ingresso in asse con la diafisi preserva il footprint (Fig. 3), ovvero l’area di inserzione tendinea della cuffia dei rotatori. In particolare, l’area di maggior stress che è rappresentata dalla porzione anteriore del sovraspinato [22, 23].
I risultati migliori sono stati ottenuti nei pazienti di età inferiore ai 60 anni, che hanno riportato un valore medio Constant score di 93,4 a 6 mesi, indipendentemente dalla severità della frattura [17].
Il recupero funzionale ottenuto nei pazienti giovani dipende anche dalla condizione di integrità della cuffia dei rotatori, il che suggerisce che la performance clinica della cuffia non è compromessa in misura significativa dalla procedura chirurgica.
Sebbene la fissazione endomidollare sia riportata nelle fratture a due, tre e quattro parti dell’omero prossimale, attualmente si pensa che debba essere riservata alle fratture a due frammenti a livello del collo chirurgico (Fig. 4), lasciando le fratture più complesse a chirurghi molto esperti. Le complicanze sembrano essere inferiori rispetto alle placche, in termini di perdita di riduzione, fallimento dell’impianto e infezioni [18, 24–26].
Gli ultimi 28 casi consecutivi trattati presso il nostro dipartimento sono stati valutati clinicamente mediante score Constant.
Tale questionario valuta il dolore, le attività della vita quotidiana, la mobilità attiva e la forza della spalla in elevazione anteriore, abduzione, intrarotazione ed extrarotazione (Fig. 5). I 28 pazienti, trattati in due anni, con età media di 65 anni, hanno ottenuto uno score medio di 73,5. La consolidazione è avvenuta in 8–10 settimane, senza complicazioni maggiori (Fig. 6).
Placche
L’indicazione per le placche è decisamente più ampia, e comprende le fratture a quattro frammenti con la sola esclusione delle fratture lussazioni della testa omerale [27, 28]. Queste fratture possono essere trattate con una riduzione e sintesi mini-invasiva, attraverso uno split deltoideo e una finestra distale. È fondamentale capire la tipologia della frattura, classificarla e pianificare una riduzione stabile (Fig. 7).
I rischi correlati alla tecnica e al tipo di impianto sono generalmente rappresentati dalla perdita in varo della riduzione, dalla protrusione immediata o secondaria delle viti, dal fallimento dell’impianto, dalla lesione del nervo ascellare, e dalla lesione del capo lungo del bicipite [29, 30]. Le fratture lussazioni della testa costituiscono una controindicazione alle tecniche mininvasive [29].
Nell’osteosintesi con placca convenzionale, anche un piccolo riassorbimento può determinare il fallimento dell’impianto. Con le placche a fissazione angolare, è necessario un ampio riassorbimento perché l’impianto fallisca, e la stabilità aumenta quando le viti sono posizionate su piani diversi [14, 31].
La tecnica prevede di riagganciare le tuberosità con suture trans-tendinee, elevare la testa attraverso la finestra delle tuberosità, ridurre il complesso metafiso-diafisario alla testa, preparare la corticale esterna e individuare il nervo ascellare, passare le suture sotto alla placca, far scivolare la placca e definire la posizione della placca e delle viti con sistemi guidati per evitare conflitti, e fissare la placca distalmente al centro della diafisi [32]. A questo punto, la frattura si è trasformata in due frammenti e si possono introdurre le viti nelle testa su più piani, e in particolare la vite obliqua nel calcar, che avrà la funzione di evitare le scomposizioni in varo (Figg. 8, 9) [33].
La letteratura riporta una lunga serie di risultati discreti e di complicanze quali pseudoartrosi, osteonecrosi e re-interventi [31, 34]. Tuttavia, le metanalisi riconoscono la superiorità delle placche a stabilità angolare rispetto agli altri mezzi di sintesi nel trattamento delle fratture a tre e quattro frammenti.
Perlopiù, in queste situazioni abbiamo impiantato con tecnica MIPO 52 placche dal 2011 al 2013; lo score di Constant è stato in media di 71; dobbiamo segnalare: 2 necrosi, 3 protrusioni articolari delle viti, 5 perdite di riduzione in varo, una aprassia del nervo ascellare risolta con la rimozione della placca, una sepsi profonda che ha richiesto la rimozione precoce della sintesi.
Ulteriori vantaggi nel mantenimento della riduzione e nella fissazione possono venire dall’utilizzo di sostituti ossei da noi utilizzati in cinque casi, uno dei quali con l’introduzione di cemento attraverso le viti.
Comprensione della frattura, chirurgia percutanea mininvasiva (MIPO), precisione della tecnica chirurgica (passo dopo passo) e chiarezze degli obiettivi consentono il rispetto dei tessuti, rendono i gesti operatori più facili, riducono i tempi chirurgici e accelerano i tempi della riabilitazione [35].
Conclusioni
Nel tempo, l’atteggiamento nei confronti delle fratture dell’omero prossimale è cambiato in favore del trattamento chirurgico, per meglio rispondere alle aumentate esigenze funzionali e grazie allo sviluppo di materiali, strumentari e tecniche chirurgiche mininvasive.
È difficile proporre un algoritmo di trattamento ideale. Nei soggetti anziani con fratture in due e tre parti, riducibili con manovre esterne e relativamente stabili è possibile utilizzare i fili di K, in alternativa al trattamento conservativo. Nelle fratture in due parti, il chiodo endomidollare di ultima generazione dimostra la sua superiorità meccanica e conduce a buoni risultati, a patto di ripristinare preventivamente l’orientamento della testa e rispettare il punto di introduzione ideale. Le fratture in tre o quattro parti sono meglio affrontate con una placca a fissazione angolare che permetta di orientare le viti su più piani.
Le possibili complicanze, numerose e in alta percentuale, possono essere contenute con una tecnica accurata che rispetti i tessuti molli.
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Zottola, V., Foti, A. & Del Buono, A. Le fratture dell’omero prossimale: la fissazione interna. LO SCALPELLO 28, 150–156 (2014). https://doi.org/10.1007/s11639-014-0095-3
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