Introduzione

L’iperparatiroidismo primitivo (IPP) è una malattia metabolica dell’osso di comune riscontro nella pratica clinica e la prima causa di ipercalcemia nei pazienti non ricoverati. La diagnosi è effettuata in presenza di ipercalcemia (definita in base ai livelli sierici di calcio corretto per l’albuminemia o di calcio ionizzato) associata a livelli elevati o inappropriatamente normali di ormone paratiroideo (PTH) valutati in almeno due occasioni a distanza di due settimane [1].

Durante la gravidanza, l’IPP ha una prevalenza minore rispetto alla popolazione generale; essa viene riportata tra lo 0,8 e l’1,4% di tutti i casi di IPP dai diversi studi [2, 3]. L’incidenza reale non è nota, principalmente in relazione ai numerosi casi che rimangono non diagnosticati, che alcune stime riportano intorno all’80% [1, 4]. Quest’ultimo aspetto è da porre in relazione al fatto che durante la gravidanza l’IPP si manifesta più frequentemente in forma lieve, pauci- o asintomatica e molti dei sintomi ad esso associati (es. nausea, iperemesi, stipsi, astenia) vengono interpretati come tipici della gravidanza stessa [1]. Si tratta, dunque, di casi nei quali non vi sono complicanze dell’IPP e, quindi, nessun rischio per la salute materno-fetale [5]. Altri aspetti da considerare circa l’elevato numero di casi che restano non diagnosticati o in cui vi è un ritardo diagnostico riguardano i fisiologici cambiamenti del metabolismo minerale che avvengono nel corso della gravidanza.

Le possibili complicanze materne dell’IPP in gravidanza includono nefrolitiasi, pancreatite, infezioni urinarie, preeclampsia e, raramente, crisi paratireotossica [3, 6]. Tra quelle fetali vi è l’ipocalcemia, prematurità, ritardo di crescita intrauterina, basso peso alla nascita, aborto e natimortalità [6].

Dal punto di vista eziologico, si stima che una mutazione genetica sia presente in una percentuale superiore al 10% dei casi di IPP in gravidanza, in considerazione del fatto che trattasi di una popolazione, quella delle donne in gravidanza, di età media giovane, in cui, come noto, sono più frequenti tali forme di IPP [2].

Al momento non vi sono studi clinici di coorte osservazionali, e ancor meno prospettici, e randomized controlled trials (RCT) che abbiano reclutato donne in gravidanza con IPP. Per tale motivo, non vi sono dati definitivi circa l’epidemiologia, la prevalenza di forme complicate, nonché sulla gestione terapeutica di tali pazienti. Le linee guida del Fifth International Workshop on the Management of Primary Hyperparathyroidism includono una serie di raccomandazioni sulle strategie terapeutiche da applicare in donne con IPP in gravidanza, che risultano ungraded [1].

La presente rassegna riassume i dati più recenti della letteratura, derivanti da case reports, studi retrospettivi, revisioni sistematiche e consensuses di esperti sulla presentazione clinica, diagnosi e trattamento dell’IPP in gravidanza. Sono inoltre discussi i principali spunti di ricerca futuri relativi a tutti questi aspetti della patologia.

Cenni di fisiologia e fisiopatologia

Il metabolismo di calcio, fosfato, vitamina D e PTH subisce una serie di modifiche fisiologiche nel corso della gravidanza, che sono riassunte nella Tabella 1. L’aumento del volume extracellulare determina una fisiologica riduzione dei livelli sierici di albumina e, conseguentemente, del calcio sierico totale, che può mascherare l’ipercalcemia [4, 7]. La PTH-related protein (PTHrP) è il fattore che principalmente regola l’omeostasi calcio-fosfato durante la gravidanza; esso è prodotto principalmente da placenta e feto, ma anche dalle ghiandole mammarie [4]. Insieme ad altri ormoni, tra cui estradiolo e prolattina, il PTHrP regola l’azione della 1-\(\alpha \)-idrossilasi e dunque la produzione di 1,25-diidrossi-vitamina D [1,25(OH)2D, calcitriolo] [4]. Quest’ultima è fisiologicamente aumentata durante il periodo gestazionale, allo scopo di aumentare l’assorbimento intestinale di calcio materno per sopperire all’aumentata richiesta da parte del feto, il quale necessita di 20–30 g di calcio per la mineralizzazione scheletrica [3, 4]. A tal fine, il catabolismo del calcitriolo è ridotto nel corso della gravidanza [8].

Tabella 1 Fisiologia del metabolismo scheletrico durante la gravidanza. \(N\), nella norma; PTH, ormone paratiroideo; PTHrP, PTH-related protein; 1,25(OH)2D; 1,25-diidrossi-vitamina D; BTMs, bone turnover markers

Attraverso il legame allo stesso recettore di tipo 1 del PTH (PTHR1), il PTHrP agisce in modo simile a quest’ultimo, non solo stimolando la produzione di calcitriolo, ma anche mobilizzando calcio dallo scheletro e stimolandone il riassorbimento a livello del tubulo distale [3, 5]. Nonostante la riduzione del calcio sierico totale, la calcemia corretta e il calcio ionizzato risultano nei limiti della norma in gravidanza; i livelli sierici di PTH sono nel range basso della normalità nel primo trimestre per poi tornare nel range medio durante l’ultimo trimestre di gravidanza [1, 3]. L’aumento del filtrato glomerulare si associa a un’aumentata escrezione di calcio a livello urinario; quest’ultima è in parte associata anche all’aumentato assorbimento intestinale di calcio [3, 5]. Vi è infine un incremento dei livelli sierici dei marcatori di rimodellamento scheletrico [3].

Nella donna in gravidanza con IPP, l’aumento del PTH contribuisce a mobilizzare il calcio dallo scheletro tramite la stimolazione del riassorbimento [5]. Questi meccanismi si associano a una riduzione della densità minerale ossea (BMD) che, come nella popolazione con IPP non in gravidanza, si manifesta soprattutto a livello dell’osso corticale; il rischio di frattura è aumentato [2]. L’esposizione del feto a livelli elevati di calcemia può determinare, in particolare nei casi di ipercalcemia materna grave, una soppressione della funzione delle paratiroidi, con conseguente ipocalcemia neonatale, che in rari casi può persistere per alcune settimane dopo il parto [3].

Manifestazioni cliniche

La presentazione clinica dell’IPP in gravidanza può variare da forme asintomatiche, paucisintomatiche, caratterizzate da malessere, nausea, vomito, astenia, cefalea, vertigini, poliuria, polidipsia, stipsi, dolori ossei e muscolari, fino a gravi complicanze materno-fetali [3]. La presenza di queste ultime viene comunemente posta in relazione a livelli sierici elevati di calcemia, in particolare superiori a 11,4 mg/dl [5]. Tra le complicanze materne di più comune riscontro vi sono la nefrolitiasi, le infezioni del tratto urinario, la pancreatite acuta, l’ipertensione arteriosa, la pre-eclampsia e il polidramnios [3, 4]. In letteratura sono riportati anche casi rari di crisi paratireotossica complicata da encefalopatia o aritmie [3, 4]. Nonostante i dati in letteratura siano limitati, è descritta una riduzione della BMD a livello del radio e la presenza di fratture vertebrali e di femore da fragilità [2].

Per ciò che concerne le complicanze fetali, sono comunemente poste in relazione a condizioni di ipercalcemia grave nella madre [3]. Il rischio di aborto può aumentare, così come di prematurità, ritardo di crescita intrauterina, basso peso alla nascita, natimortalità, ipocalcemia neonatale e tetania [3].

Diagnosi

La diagnosi di IPP in gravidanza può essere complessa in relazione ai meccanismi cui si è accennato (Tabella 1). I principali aspetti da considerare nella valutazione clinica, di laboratorio e strumentale sono riassunti nella Tabella 2. È essenziale l’utilizzo della calcemia corretta per l’albuminemia e, ove disponibile, del calcio ionizzato [5]. In considerazione della fisiologica riduzione del PTH nella prima parte della gravidanza, la presenza di ipercalcemia, in particolare se associata a ipofosfatemia e di livelli sierici di PTH non soppressi, seppure nell’ambito della norma, permette di porre diagnosi di IPP [3, 5]. Analogamente alle pazienti con IPP non in gravidanza, l’ipovitaminosi D deve essere corretta al fine di ottenere livelli sierici di 25(OH)D tra 20 e 30 ng/ml [2]. La valutazione del rapporto clearance del calcio/clearance della creatinina (ClCa/ClCr), che si effettua richiedendo il dosaggio di calcio e creatinina sul siero e sulle urine delle 24 ore e applicando la seguente formula

$$\frac{\text{calciuria (mg/dl)} \times \text{creatinina sierica (mg/dl)}}{\text{calcemia (mg/dl)} \times \text{creatinina urinaria (mg/dl)}} $$

può risultare inficiata dall’incremento dell’escrezione urinaria di calcio tipica della gravidanza. Pertanto, la diagnosi differenziale con la più rara forma di ipercalcemia ipocalciurica familiare (familiar hypocalciuric hypercalcemia, FHH), richiede l’esecuzione di screening familiare ed esame genetico [5]. Altre forme genetiche vanno inoltre sospettate, in particolare nelle donne di età inferiore ai 40 anni, ed escluse tramite un’attenta valutazione della storia familiare e, ove indicato, tramite esami genetici [2].

Tabella 2 Diagnosi di iperparatiroidismo primitivo in gravidanza. PTH, ormone paratiroideo; 25(OH)D, 25-idrossi-vitamina D; ClCa/ClCr, clearance del calcio/clearance della creatinina; FHH, familiar hypocalciuric hypercalcemia; MEN, neoplasia endocrina multipla; HPT-JT, hyperparathyroidism jaw tumor syndrome; \(N\), nella norma

Una volta effettuata la diagnosi, è indicato valutare le complicanze dell’IPP. Nei casi di forme lievi è opportuno indagare la presenza o meno dei sintomi di IPP, che possono essere scambiati per quelli tipici di una gravidanza fisiologica [2]. La valutazione di complicanze quali nefrolitiasi e fratture da fragilità va presa in considerazione al fine di un corretto inquadramento della gravità della patologia [2].

Le tecniche di diagnostica per immagini del collo trovano impiego nello studio delle pazienti con IPP in gravidanza nell’ambito della localizzazione preoperatoria in pazienti in cui la scelta terapeutica è quella chirurgica. Tra di esse, vi sono evidentemente delle controindicazioni assolute all’utilizzo di metodiche che impieghino il 99-Tm-Sestamibi ed esposizione a radiazioni. L’ecografia è la metodica di prima scelta, la cui sensibilità può raggiungere l’84% in mani esperte [9]. In casi specifici, può essere utile affiancare all’ecografia l’utilizzo della risonanza magnetica (RM) senza gadolinio [2].

Terapia

In considerazione dell’assenza di dati da studi longitudinali di intervento e RCT, le raccomandazioni e le linee guida per il trattamento dell’IPP in gravidanza si basano su consensuses di esperti [1, 5] e sono riassunte nella Tabella 3.

Tabella 3 Terapia dell’iperparatiroidismo primitivo in gravidanza. IPP, iperparatiroidismo primitivo; e.v., endovenosa; eGRF, estimated glomerular filtration rate

La paratiroidectomia rappresenta la terapia di scelta dell’IPP [10]. È importante, pertanto, sconsigliare alla donna con IPP di concepire fino a che non venga effettuato l’intervento chirurgico e sia dimostrata la guarigione biochimica della malattia [5]. Come per le pazienti non in gravidanza, la paratiroidectomia è la terapia da preferire nelle pazienti con IPP in gravidanza [1, 5]. Una recente revisione sistematica della letteratura su 382 casi di IPP in gravidanza ha riportato una percentuale di pazienti trattate con chirurgia del 28,3%; di esse, il 90,9% non ha avuto complicanze fetali [11]. Delle 274 pazienti non trattate con paratiroidectomia, il 38,9% ha riportato complicanze in alcuni casi fatali nel feto/neonato [11].

Le consensuses internazionali più recenti consigliano di eseguire la paratiroidectomia preferibilmente nella prima metà del secondo trimestre di gravidanza [1, 5]. I dati della letteratura dimostrano, infatti, come in tale periodo vi sia un rischio di complicanze postoperatorie inferiore rispetto al terzo trimestre e come esso sia più indicato del primo trimestre, periodo in cui l’organogenesi non è ancora completa [3, 5]. La revisione sistematica di Sandler e collaboratori dimostra, infatti, una prevalenza di complicanze fetali maggiore nelle pazienti operate nel corse del terzo trimestre (21%) rispetto al secondo trimestre (4,5%) [11]. Analizzando i dati delle pazienti trattate con chirurgia durante il terzo trimestre, però, vi era una minore frequenza di complicanze tra di esse rispetto alle pazienti trattate con terapie conservativa nello stesso periodo di gravidanza [11].

L’intervento chirurgico è raccomandato, in particolare, in pazienti con livelli sierici di calcemia corretta per albuminemia >1 mg/dl il limite superiore della norma [1, 5] e/o >11,4 mg/dl [5]. La chirurgia mini-invasiva rappresenta l’approccio da preferire, ove possibile, nelle pazienti con IPP sporadico in gravidanza e localizzazione preoperatoria, mentre l’esplorazione bilaterale del collo andrebbe riservata alle forme ereditarie [12].

La consensus del Fifth International Workshop on Primary Hyperparathyroidism consiglia una terapia conservativa nei casi di IPP lieve; il 2021 PARAT Working Group raccomanda tale terapia solo come ponte in attesa dell’intervento chirurgico o in casi selezionati di pazienti con ipercalcemia lieve o nei casi di diagnosi dubbia [1, 5]. Le strategie non chirurgiche comprendono in primis l’idratazione per os o endovena a seconda dei livelli sierici di calcemia e lo stretto monitoraggio della calcemia [1, 5]. L’utilizzo del cinacalcet viene suggerito da alcuni autori in casi ipercalcemia grave ma scarsi sono i dati sulla sicurezza; bisfosfonati e denosumab sono controindicati [1, 5]. Le indicazioni all’utilizzo di calcio e vitamina D sono le stesse delle pazienti con IPP non in gravidanza [5]. Anche nelle donne in cui viene preferita la strategia non chirurgica durante il periodo gestazionale, le raccomandazioni internazionali consigliano di programmare la paratiroidectomia dopo il parto [1, 5].

I neonati di madri che si sceglie di trattare con terapia conservativa devono essere strettamente monitorati (Tabella 3), sin dai primi giorni di vita, per ciò che concerne i livelli sierici di calcemia; il rischio di ipocalcemia è maggiore nel secondo e terzo giorno di vita [1, 5]. In caso di ipocalcemia, le raccomandazioni prevendono l’eventuale utilizzo di metaboliti attivi della vitamina D, quali alfacalcidolo o calcitriolo [5].

Conclusioni e prospettive future

L’iperparatiroidismo primitivo in gravidanza è una patologia la cui gestione è fondamentalmente multidisciplinare; essa coinvolge figure specialistiche quali clinico e chirurgo specializzati nelle malattie delle paratiroidi, ginecologo, pediatra e personale infermieristico e ostetrico. Nonostante siano più rare, le forme complicate possono determinare numerosi rischi per la salute materno-fetale e il normale proseguimento della gravidanza. I dati della letteratura sono scarsi, poiché derivanti esclusivamente da studi retrospettivi e case series, ma dimostrano come la gravità dell’ipercalcemia sia correlata al quadro clinico e alle complicanze fetali. In considerazione di ciò, le principali raccomandazioni internazionali consigliano la paratiroidectomia durante la gravidanza, in particolare nei casi più gravi, mentre essa può essere eseguita dopo il parto nelle forme lievi. In tali casi, la terapia conservativa deve essere quindi impiegata come ponte fino all’intervento chirurgico e si rende necessario monitorare strettamente il neonato per il rischio di ipocalcemia.

Sono auspicabili in futuro dati da studi osservazionali e longitudinali di intervento che chiariscano punti chiavi della patologia quali incidenza, prevalenza di forme asintomatiche \(vs\) sintomatiche e trattamento.