Introduzione

Le protesi totali di ginocchio di tipo vincolato, a piatto tibiale rotante (rotating hinge knee, RHK), sono state sviluppate dal 1970 partendo dai modelli semivincolati, e ne rappresentano l’avanzamento. Questi impianti combinano il movimento di flesso-estensione con la rotazione dell’inserto in polietilene sul plateau tibiale, permettendo così un pattern di movimento fisiologico e riducendo nel contempo il trasferimento delle sollecitazioni stressanti a carico dell’interfaccia osso-impianto protesico, rispetto ai modelli a vincolo fisso o cerniera [1, 2].

Inizialmente, le indicazioni di tali impianti comprendevano sia la chirurgia di sostituzione protesica primaria, sia quella di revisione [1, 2]. Poiché il vincolo causa la trasmissione di sollecitazioni elevate a carico dell’interfaccia osso-protesi, è necessaria la fissazione dei due steli [3].

Alcuni autori sostengono che le protesi vincolare siano correlate a un maggiore rischio di mobilizzazione asettica a causa di tali elevate sollecitazioni [3, 4]. Inoltre, altri aspetti quali la cementazione dello stelo, le rotture e la cinematica di questi impianti [1, 2] hanno ristretto le indicazioni per la chirurgia di primo impianto ai soli casi di pazienti con una grave lassità dei legamenti collaterali, con perdita ossea grave o con gravi difetti assiali [3, 5]. Al contrario, partendo dai presupposti della ricerca delle massime stabilità articolare e fissazione possibili, presso la II Clinica Ortopedica gli impianti vincolati hanno sempre trovato un ampio campo di utilizzo. Lo scopo di questa lavoro è quello di condividere queste esperienze cliniche e chirurgiche e di confrontarne i risultati con la letteratura.

Endo-Modell rotating-hinge total knee for revision total knee arthroplasty

In questo studio [6] sono stati valutati gli outcome clinici e radiografici e il tasso di sopravvivenza di una serie di Endo-Modell utilizzate per revisione protesica di ginocchio per instabilità legamentosa lieve o grave. La protesi Endo-Modell (Waldemar LINK GmbH & Co.; Amburgo, Germania) è stata progettata nel 1979 e poi successivamente sviluppata. Essa è contraddistinta da un vincolo metallico tibiale che alloggia nella componente femorale, ricoperto da un polietilene ad alto peso molecolare spesso circa 2 mm. Ne esistono due modelli: un modello standard, senza la componente trocleare e un modello con tale componente, adatto a pazienti con grave degenerazione dell’articolazione femoro-rotulea. È inoltre disponibile un modello con dispositivo antilusso. L’impianto permette, a 120° di flessione, una rotazione esterna di 50° e interna di 35°, mentre la flessione massima virtuale è di 165°.

Materiali e metodi

Tra il dicembre 1991 e il giugno 2004, sono state impiantate 53 Endo-Modell in 50 pazienti (3 pazienti bilaterali), con un’età media di 69,77 anni. Gli impianti sono stati cementati sia a livello diafisario che metaepifisario, e il dispositivo antilusso è stato utilizzato in 43 (81,1%) pazienti. Nei casi di mobilizzazione settica, è stata utilizzata una tecnica di tipo two-stage. La protesizzazione della rotula è stata eseguita in 11 pazienti (20,7%). I pazienti sono stati esaminati clinicamente secondo l’Hospital for Special Surgery Knee Score (HSS-KS) e, radiologicamente, secondo il Knee Society Roentgenographic Evaluation System (KS-RES).

Risultati

Lo studio ha avuto un follow-up medio di 155 mesi, con 11 pazienti persi al follow-up e 7 deceduti, per cui sono stati inclusi 32 pazienti. Sul totale, è stata riscontrata in 9 (17%) pazienti la rottura del vincolo in polietilene, e 6 di essi sono stati rioperati. I risultati dell’HSS-KS hanno mostrato miglioramenti statisticamente significativi nel postoperatorio (da 58,4 punti a 85,5 punti); in particolare con miglioramento del controllo algico e dell’articolarità. In 8 pazienti, al controllo radiografico, sono state individuate linee di radiolucenza, ma in 6 casi non sono stati riscontrati segni di progressione. Sul totale, 11 casi sono esitati con l’insuccesso della protesi impiantata. Il tasso di sopravvivenza dell’impianto, a 150 mesi, è stato dell’80,4%.

Rotating-hinge total knee for revision total knee arthroplasty

In questo studio [7] sono stati valutati gli outcome clinici e radiografici a medio termine di un gruppo di revisioni protesiche effettuate utilizzando la protesi NexGen Rotating Hinge Knee, per instabilità legamentosa. La NexGen Rotating Hinge (Zimmer; Varsavia, Indiana), introdotta nel 2002, è progettata in modo da poter essere integrata con la componente rotulea, con gli augment e gli steli dell’impianto di rivestimento NexGen non vincolati (Zimmer). È caratterizzata da un vincolo sia in varo/valgo sia in antero-posteriore, consentendo la flessione, l’estensione e le rotazioni sul piano orizzontale, poiché la componente tibiale in polietilene può raggiungere un massimo di 25° sia di rotazione interna che di esterna (50° in totale). la tecnica di fissazione è ibrida, mediante cementazione delle porzioni metafisarie e impianto press-fit degli steli.

Materiali e metodi

Tra il settembre 2002 e maggio 2008 sono state impiantate 31 protesi NexGen RHK, in 29 pazienti (2 bilaterali). Sono state eseguite revisioni di tipo one-stage, tranne che per 3 dei 4 casi di mobilizzazione settica, in cui è stata utilizzata una tecnica di tipo two-stage. La componente rotulea è stata impiantata in 20 (64,5%) dei 31 casi (3 revisioni della rotula precedente e 17 protesi di rivestimento della rotula nativa). I pazienti sono stati esaminati clinicamente secondo l’Hospital for Special Surgery Knee Score (HSS-KS) e radiologicamente secondo il Knee Society Roentgenographic Evaluation System (KS-RES).

Risultati

Lo studio ha avuto un follow-up medio di 60,3 mesi, con 3 pazienti persi al follow-up, per cui sono stati inclusi 26 pazienti (2 bilaterali). I risultati dell’HSS-KS hanno mostrato miglioramenti statisticamente significativi nel postoperatorio (punteggio di 88,4 finale rispetto ai 65,5 punti prima dell’intervento). Il tasso di sopravvivenza della protesi impiantata, a 5 anni, è stato del 79%. In 20 pazienti, al controllo radiografico, sono state individuate linee di radiolucenza, ma 18 di essi non hanno poi mostrato segni di progressione, mentre in 2 è stato necessario revisionare l’impianto mediante uno stelo tibiale più lungo. In 10 casi vi sono state delle complicanze maggiori (tra cui 2 mobilizzazioni asettiche, 2 mobilizzazioni settiche in 2 dei pazienti sottoposti a un trattamento di tipo two-stage, 2 lesioni traumatiche dell’apparato estensore e 1 frattura tibiale).

Results with 98 Endo-Modell rotating hinge prostheses for primary knee arthroplasty

Obiettivo dello studio [8] era valutare l’outcome clinico e radiografico di una serie di pazienti sottoposti a impianto di una protesi di ginocchio vincolata Endo-Modell come primo impianto, non affetti da deformità gravi o instabilità legamentosa.

Materiale e metodi

Tra il 1992 e il 1995, sono state impiantate 98 Endo-Modell di primo impianto su un totale di 84 pazienti (14 protesi bilaterali). Il modello con la componente trocleare è stato utilizzato in 31 casi e il modello antilusso è stato utilizzato in 12 casi. I pazienti sono stati esaminati clinicamente secondo l’Hospital for Special Surgery Knee Score (HSS-KS) e radiologicamente secondo il Knee Society Roentgenographic Evaluation System (KS-RES).

Risultati

Lo studio ha avuto un follow-up medio di 174 mesi. Sul totale degli 84 pazienti (98 impianti), 23 pazienti (26 impianti) sono stati persi al follow-up. Pertanto, è stato possibile completare lo studio su 61 pazienti (72 impianti). I risultati dell’HSS-KS hanno mostrato miglioramenti statisticamente significativi nel postoperatorio (da 64,4 punti a 82,2 punti). In 11 pazienti, al controllo radiografico sono state individuate linee di radiolucenza, in 9 casi con evidenza di segni di progressione, per cui in 7 è stato necessario reimpiantare la protesi a causa della mobilizzazione asettica. Il tasso di revisione è stato del 2% circa a 174 mesi di follow-up, in particolare i pazienti senza necessità di essere sottoposti a un intervento di revisione sono stati l’88,7% a 1 anno, l’85,9% a 5 anni, e il 75,8% a 15 anni. In generale, il fallimento della protesi si è verificato in 18 dei 72 impianti (6 mobilizzazioni settiche, 12 asettiche). La protesi senza il dispositivo antilusso ha mostrato un tasso di reimpianto statisticamente inferiore rispetto gli impianti con tale dispositivo, mentre non sono emerse differenze tra gli impianti con e senza componente trocleare (Fig. 1).

Fig. 1
figure 1

NG, uomo, 70 aa. Impianto di protesi tipo Endomodel, dopo revisione in due tempi di impianto tipo Rotating Hinge Knee impiantata per grave instabilità post-traumatica

Esperienza attuale

Ad oggi, presso la Clinica Ortopedica I, le protesi di ginocchio vincolate hanno un largo margine di utilizzo. Le indicazioni, per la maggior parte dei casi in linea con la letteratura, sono: in pazienti con necessità di un reimpianto protesico a causa di gravi lassità dei legamenti collaterali, deficit ossei importanti, alterato asse a carico dell’arto inferiore (grave varo grave valgo), fratture periprotesiche complesse (anche con l’utilizzo di protesi da grandi resezioni). In una percentuale minore di casi queste protesi sono state impiegate come primo impianto, in pazienti con lassità legamentose o deformità anatomiche primarie tali da non rendere possibile l’impianto di una protesi non vincolata.

Ferma restando la necessità di un apparato estensore valido, le protesi vincolate sono molto vantaggiose anche in situazioni anatomo-cliniche molto particolari. A nostro parere, queste protesi sono indicate in caso di pazienti affetti da gravi patologie neurologiche o muscolari che non permettano una completa funzionalità della muscolatura dell’arto inferiore (in particolare, il quadricipite, per esempio in esiti di PAA) o che, indirettamente (ad esempio in caso di patologie cardiache o polmonari), riducano la resistenza a un lavoro muscolare intenso. Il miglior esito di queste protesi è dato dal fatto che lo sforzo muscolare richiesto durante la marcia è inferiore rispetto a quelle di tipo non vincolato a causa della stabilità intrinseca della protesi che, quindi, non richiede una stabilizzazione ad opera dei muscoli fisiologicamente deputati ad essa [5]. Un altro caso particolare in cui è richiesto un vincolo a livello del ginocchio è la presenza di artrodesi omolaterale di anca.

Discussione

Le protesi vincolate, se impiantate in pazienti con instabilità legamentose gravi, deformità assiali ma in buone condizioni generali, permettono ottimi risultati, sia clinici che radiografici, hanno un tasso di sopravvivenza e di complicanze in alcuni casi non dissimile a quelli ottenibili con protesi caratterizzate da un vincolo meccanico minore. Secondo alcuni autori, il vincolo è causa di un’elevata trasmissione di stress meccanico lungo la superficie di contatto tra stelo e osso, e questo può comportare un maggior tasso di fallimento rispetto a protesi non vincolate [9]. Senza dubbio, è consigliabile l’impianto di steli lunghi, poiché garantiscono una maggior stabilità della protesi, una miglior distribuzione degli stress meccanici e risultano avere un tasso di mobilizzazione asettica inferiore rispetto a steli di lunghezza minore. In particolare, per quanto riguarda il modello RH-knee Nexgen si raccomanda di non utilizzare uno stelo tibiale corto.

Tuttavia, il vincolo meccanico, non è la principale causa del fallimento di questi impianti. Una valutazione più accurata del paziente, delle condizioni mediche generali e dello stato dei tessuti molli circostanti l’articolazione interessato, è fondamentale per prevenire, o eventualmente poter prevedere, eventuali insuccessi. In generale, impianti di questo tipo di protesi in pazienti con condizioni mediche scadenti e deformità gravi, andrebbero evitati.

Il tasso di complicanze a seguito dell’impianto di queste protesi è notoriamente maggiore rispetto a quello di protesi non vincolate, e ciò è da correlarsi principalmente a una tecnica chirurgica più invasiva, nonché alle condizioni cliniche generali e locali dei pazienti che necessitano protesi di questo tipo, ovvero generalmente più compresse rispetto a pazienti sottoposti a impianti di protesi di ginocchio non vincolate.

La componente polietilenica è senza dubbio la parte più debole di questo tipo di protesi e la sua rottura rappresenta una complicanza non infrequente. È però altresì vero che i nuovi reticolati arricchiti in vitamina E garantiscono una maggior durata a lungo termine e hanno migliori proprietà meccaniche e chimiche, tra le quali un aumento della resistenza alla colonizzazione batterica [10].

Per quanto riguarda il modello Endo-modell, un’altra causa frequente di fallimento dell’impianto è la lussazione dello stesso. Per questo motivo, è sempre raccomandabile tenere in considerazione l’impiego di dispositivi antilusso, ove possibile, fin da subito, in modo da ridurre il rischio di questa complicanza. Va però anche ricordato che i modelli standard abbiano dimostrato una sopravvivenza maggiore per cui, in pazienti con comprovabile stabilità intraoperatoria, vanno preferiti a quelli antilusso.

Un altro motivo di discussione riguarda la cementazione. Il cemento garantisce maggior stabilità dell’impianto sia sul breve che sul lungo periodo, dimostrato da un minor tasso di mobilizzazione asettica. Inoltre, l’utilizzo della cementazione permette di compensare eventuali perdite ossee metadiafisarie. Tuttavia, in caso di revisioni di tali impianti, può comportare difficoltà non secondarie nella rimozione dei componenti. Pertanto, la scelta della cementazione delle componenti deve attentamente tenere in conto le condizioni cliniche generali e locali del paziente, oltre che le caratteristiche della protesi stessa.

Conclusione

Le protesi di ginocchio vincolate, in caso di reimpianto, garantiscono buoni risultati clinici e radiologici nel medio periodo, hanno un tasso di sopravvivenza e di complicanze sovrapponibili a protesi con vincoli meccanici minori, ma la tecnica chirurgica è più semplice. Pertanto, rappresentano le protesi di prima scelta, soprattutto in pazienti con instabilità e deficit ossei gravi.

Decisamente più limitate sono invece le indicazioni per primi impianti, a causa del tasso di complicanze più elevato e dell’outcome clinico meno soddisfacente rispetto a protesi di ginocchio standard non vincolate. Tali indicazioni sono una grave lassità dei legamenti collaterali, un deficit osseo importante o gravi difetti assiali.