Introduzione

Le fratture del terzo prossimale di tibia sono lesioni infrequenti, causate nella maggior parte dei casi da forze indirette. Il meccanismo di lesione è età-dipendente: nei bambini, è causato dal movimento in varo-valgo del ginocchio durante le attività ludiche; negli adolescenti, dai traumi in iperestensione che si verificano con il gesto del calcio [2]; in età media, spesso derivano da incidenti stradali, mentre negli anziani, per la presenza di osteoporosi, sono provocate da traumi a bassa energia. Il largo spettro dei tipi di frattura può essere correlato alla sequenziale applicazione di forze in varo-valgo e forze in compressione [3]. La classificazione di queste fratture si basa sulla morfologia e la localizzazione dei frammenti [4].

Epidemiologia

Le fratture del terzo prossimale di tibia rappresentano l’1% di tutte le fratture. Interessano soprattutto soggetti di età compresa tra i 16 e 40 anni e di sesso maschile. L’incidenza è aumentata negli ultimi anni per aumento degli incidenti stradali, sportivi e lavorativi (traumi ad alta energia) [5]. Le fratture dell’epifisi prossimale della tibia possono interessare i condili tibiali, interno ed esterno, che costituiscono la parte articolata con il femore; l’apofisi tibiale anteriore, su cui si inserisce il tendine rotuleo; le spine tibiali, anteriore e posteriore, sulle quali si inseriscono i legamenti crociati del ginocchio [6]. Le fratture dell’apofisi tibiale (Fig. 1) sono rare e il loro trattamento non è ben definito in letteratura [7]. Le fratture delle spine tibiali (Fig. 2) sono infrequenti e più comuni nell’infanzia [8]. L’emipiatto tibiale esterno si frattura più frequentemente (55–75%), rispetto a quello interno, per la minor resistenza dell’architettura ossea. Le fratture bicondiloidee sono meno abituali [9].

Fig. 1
figure 1

Rx in AP (a) e LL (b) di una frattura post-traumatica dell’apofisi tibiale anteriore in donna di 45 anni

Fig. 2
figure 2

TC in AP (a) e LL (b) di una frattura con avulsione della spina tibiale anteriore in uomo di 33 anni

Classificazione

Dal punto di vista anatomico si devono distinguere le fratture dell’intera epifisi (bi-condiloidee) e le fratture di un emipiatto, interno o esterno (monocondiloidee) (Fig. 3) [10].

Fig. 3
figure 3

Schema di classificazione anatomica delle fratture del piatto tibiale. (a) Bicondiloidee. (b) Monocondilica interna. (c) Monocondilica esterna

In passato sono state elaborate diverse classificazioni per le fratture del piatto tibiale. Nel 1900 Müller propose un sistema classificativo basato sull’entità del coinvolgimento dell’articolazione. Hohl, nel 1967, ha ampliato questa classificazione per includervi le fratture comminute [1113]. Nel 1960, la classificazione di Ficat si basava sul tipo e la posizione delle lesioni elementari, distingueva quattro gruppi di fratture: fratture del piatto tibiale interno o esterno (60% dei casi); fratture bicondiloidee (30% dei casi); fratture spino-tuberositarie (5% dei casi); fratture-lussazioni [14]. Nel 1981, Moore propose un sistema di classificazione delle fratture-lussazioni del condilo tibiale, che prendeva in considerazione il danno dei tessuti molli [15]. Molto utilizzata in ambito internazionale è la classificazione AO (1979). La classificazione AO è il più dettagliato e complesso sistema di classificazione, organizzato secondo la crescente severità dell’interessamento osseo e articolare, che associa la localizzazione anatomica della frattura con le sue caratteristiche morfologiche. Utilizza un codice alfanumerico (ad esempio 41, 4= osso tibia, 1= segmento prossimale), cui viene associata una delle tre lettere suddivise in due sottotipi: complete e parziali.

  • Tipo A: fratture extrarticolari

  • Tipo B: fratture articolari parziali, nelle quali la superficie articolare rimane adesa al segmento fratturato

  • Tipo C: fratture articolari complete, in cui la superficie articolare è separata dalla diafisi tibiale.

La classificazione AO ha il vantaggio di classificare tutti i tipi di frattura in maniera univoca, ma la suddivisione risulta difficilmente memorizzabile e ciò ne limita il suo impiego routinario. Attualmente, la classificazione di Schatzker (pubblicata nel 1979) è la più adottata, soprattutto per la sua semplicità. Essa classifica le fratture in base alla loro morfologia.

Classificazione di Schatzker:

  • Tipo I: frattura per fissurazione a cuneo del piatto tibiale esterno, con o senza spostamento, causata da stress in valgo, si associa spesso a lesioni del menisco esterno. Più frequente nei soggetti giovani

  • Tipo II: frattura per fissurazione con affossamento del piatto tibiale esterno. La più frequente delle fratture dell’estremo prossimale della tibia, causata da forze in valgo e carichi assiali

  • Tipo III: frattura per affossamento del piatto tibiale esterno. Si verifica in seguito a cadute dall’alto, soprattutto in persone anziane con osteoporosi

  • Tipo IV: frattura del piatto tibiale mediale, causata da traumi ad alta energia. Si può associare ad avulsione dell’eminenza intercondiloidea e a lesioni vascolo-nervose

  • Tipo V: frattura bicondiloidea causata da forze in compressione durante traumi ad alta energia. Si associano spesso a lesioni vascolo-nervose, a carico dell’LCA e dei menischi

  • Tipo VI: una qualsiasi frattura del piatto tibiale associata a una frattura della meta-diafisi prossimale. Causata da traumi ad alta energia, si associa a lesioni vascolo-nervose, dell’LCA, dei menischi e a sindrome compartimentale [11, 16, 17].

Charalambous et al. (2007) hanno proposto una nuova classificazione basata sul numero dei condili interessati e l’eventuale presenza di uno split tra le superfici articolari in concomitanza a una depressione delle stesse [18, 19]. La classificazione di Meyers e McKeever (1959) (Fig. 4) è la più adottata per le fratture delle spine tibiali. Le suddivide in:

  • Tipo I, il frammento è minimamente scomposto

  • Tipo II, il frammento è sollevato a becco di uccello

  • Tipo III, si ha la scomposizione e avulsione del frammento [20, 21].

Per la classificazione delle fratture della tuberosità tibiale viene utilizzata quella di Watson-Jones (1980):

  • Tipo I, un piccolo frammento è avulso dalla metafisi e dislocato verso l’alto

  • Tipo II, tutto il tubercolo è sollevato anteriormente e verso l’alto, con l’avulsione quindi del nucleo di ossificazione

  • Tipo III, la linea di frattura si allunga in direzione prossimale e posteriore, dalla tuberosità alla superficie articolare della tibia prossimale (Fig. 5) [22, 23].

Fig. 4
figure 4

Classificazione di Meyers e McKeever delle fratture delle spine tibiali (modificata da “Journal of the American Academy of Orthopaedic Surgeons”)

Fig. 5
figure 5

Classificazione di Watson-Jones delle fratture dell’apofisi tibiale anteriore (modificata da www.knieweh.at)

Clinica

Il paziente presenta tumefazione, ecchimosi, dolore intenso, impotenza funzionale e, in presenza di frattura scomposta, alterazione del normale profilo anatomico (Fig. 6). Nelle fratture conseguenti a traumi ad alta energia, non è raro osservare l’esposizione del focolaio di frattura. Possono essere presenti una deformazione in varo o valgo del ginocchio. Lo studio della motilità e della sensibilità del dorso del piede, in cerca dell’interessamento dello SPE, è fondamentale. Le lesioni legamentose associate non vanno sottovalutate e devono essere ricercate tramite test specifici. Se l’arto è particolarmente dolente, tumefatto, la cute è tesa, può essere presente una sindrome compartimentale che va trattata in urgenza con intervento di fasciotomia [11, 14]. La sindrome compartimentale si verifica usualmente nei traumi ad alta energia e nelle fratture tipo IV–V–VI di Schatzker [24]. È fondamentale, quindi, valutare attentamente lo stato della cute, la tumefazione, la presenza di emartro e, soprattutto, l’eventuale presenza di lesioni vascolo-nervose associate [11].

Fig. 6
figure 6

Immagine clinica di una frattura dell’emipiatto tibiale esterno in uomo di 56 anni

Complicanze

  • Compromissione neuro-vascolare

  • Osteomielite

  • TVP ed embolia polmonare

  • Ritardo di consolidazione, pseudoartrosi, consolidazione viziosa

  • Artrosi post-traumatica

  • Sindrome compartimentale

  • Rigidità del ginocchio

  • Instabilità del ginocchio [25].

Le complicanze si verificano soprattutto nei traumi ad alta energia e nelle fratture bicondiloidee con grave interessamento dei tessuti molli del ginocchio [26].

Conclusioni

Le fratture del terzo prossimale di tibia sono un’evenienza grave dal punto di vista prognostico, riguardando una delle articolazioni maggiormente sottoposte al carico. Colpiscono in maniera più o meno grave l’articolazione del ginocchio e sono potenzialmente gravate nel tempo da un’alta possibilità di evoluzione artrosica. La scelta terapeutica appare ancora controversa, chiare indicazioni al trattamento chirurgico sono: incongruenza del piano articolare maggiore o uguale a 3 mm (Hohl 1981) (Fig. 7), instabilità per affossamento maggiore o uguale a 10° (Rasmussen 1973), difetti dell’allineamento diafisario (Rosati 1999), fratture esposte, fratture associate a sindrome compartimentale, una diastasi dei condili tibiali >5 mm, le fratture del piatto tibiale mediale (qualunque sia il grado di spostamento o affossamento) [13, 27, 28]. Varie sono le possibilità di trattamento chirurgico: dalla riduzione con fissazione percutanea con viti libere o fissatore esterno, alla riduzione con fissazione interna con placca e viti. Le finalità del trattamento chirurgico consistono nel ripristino della congruità del piano articolare e nella stabilizzazione della frattura per consentire una riabilitazione precoce [29, 30]. Le fratture del terzo prossimale di tibia sono lesioni severe, soprattutto nei soggetti anziani. Fondamentale per un adeguato trattamento e, quindi, dal punto di vista prognostico è la classificazione di queste fratture. Un sistema classificativo deve: suddividere i tipi di frattura in maniera adeguata; facilitare la comunicazione tra i chirurghi; dare una stima della prognosi; permettere di comparare i risultati tra i diversi studi [19, 31]. Un’adeguata valutazione preoperatoria è necessaria per ottenere una riduzione anatomica, requisito fondamentale per ridurre la possibilità di artrosi post-traumatica [11]. Il planning preoperatorio è completato da un’accurata e riproducibile classificazione delle fratture [32].

Fig. 7
figure 7

Immagine Rx di una frattura del piatto tibiale con incongruenza del piano articolare >3 mm