Nel febbraio 2017 è stata approvata in via definitiva la legge 24/2017 conosciuta come legge Gelli-Bianco, dal cognome dei relatori, entrambi medici e parlamentari. Il titolo della legge “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie” dà conto della doppia natura del provvedimento: da un lato dare una maggiore tutela ai pazienti, dall’altro ridefinire il rapporto, in sede di contenzioso penale e civile, tra medico e assistito in tutti gli ambiti, pubblici e privati, nei quali si esercita la professione medica.

Giunta dopo anni di attesa e in un clima di altissima aspettativa da parte degli operatori sanitari, la legge si pone l’obiettivo di chiarire e ridefinire il perimetro e le dinamiche del contenzioso medico legale per arginare i fenomeni che hanno causato un aumento sostanziale del costo delle assicurazioni per professionisti e strutture sanitarie fino a rendere difficile per alcune figure professionali la stipula di una polizza, la fuga dal mercato sanitario italiano delle società assicurative e un incremento sempre più preoccupante della medicina difensiva che porta con sé l’inappropriatezza dell’utilizzo delle risorse sanitarie.

Il contesto della responsabilità professionale prima della legge

Per comprendere come il problema della responsabilità professionale fosse arrivato a un punto di rottura, è sufficiente citare il dato medio relativo ai risarcimenti assicurativi degli anni 2001–2012, quando il rapporto tra premi pagati e sinistri liquidati era di 1 a 1,5 per i medici e 1 a 1,72 per le strutture sanitarie. Vale a dire che per ogni euro di premio incassato dalle imprese assicuratrici, queste pagavano o mettevano a riserva in vista di probabili pagamenti 1,5 o, rispettivamente, 1,72 euro. In parallelo, il numero di denunce dal 1994 al 2012 è più che raddoppiato anche se circa la metà di queste non esitano in risarcimento (fonte ANIA, Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici) [1].

Poiché l’assicurazione prezza e fa pagare la copertura di un rischio, è comprensibile come negli anni si sia verificato il progressivo ritiro delle imprese dal mercato assicurativo sanitario italiano, considerato come un sistema non più in equilibrio che paga in risarcimenti per sinistri più di quanto raccoglie in premi.

Di conseguenza assicurarsi è divenuto sempre più difficile per i professionisti, in particolare per le specialità più soggette a rischio (ostetrici e ginecologi, ortopedici, chirurghi); il costo delle polizze è aumentato, così come l’entità del contenzioso [2].

Un primo tentativo di affrontare il problema assicurativo era stato fatto qualche anno prima con la legge 8 novembre 2012 n. 189 di conversione del cosiddetto decreto Balduzzi, che, in sintesi, mirava al ridimensionamento dell’area di responsabilità del medico [3].

Sul piano penale, la legge Balduzzi aveva parzialmente depenalizzato la colpa medica, escludendone la rilevanza penale laddove la condotta del medico fosse connotata da colpa lieve e fosse altresì rispettosa delle linee guida indicate dalla comunità scientifica.

In tal modo la legge Balduzzi aveva determinato il passaggio da una prospettiva giuridica dominata, quanto all’illecito in materia sanitaria, dalla teoria del nesso di causalità a una valorizzazione della colpa quale elemento selettivo della responsabilità sanitaria. Aveva inteso, inoltre, sottrarre il medico alla discrezionalità dei giudici con l’esclusione della rilevanza penale delle condotte caratterizzate da colpa lieve in tutte quelle situazioni nelle quali è possibile l’applicazione di linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica.

Tuttavia, l’intervento legislativo del 2012 aveva posto alcuni problemi di natura interpretativa. In particolar modo, la normativa aveva destato non poche perplessità riguardo alla sua sfera di applicazione, in quanto non chiariva se la depenalizzazione si limitasse all’ambito delle sole condotte connotate da imperizia, o se si estendesse anche alle altre gradazioni di colpa, l’imprudenza e la negligenza. La giurisprudenza aveva interpretato la validità del criterio della colpa lieve come esteso alla sola imperizia del medico e non anche alla sua imprudenza o alla sua negligenza e, di conseguenza, la normativa limitante la responsabilità sanitaria non poteva invocarsi qualora la condotta professionale fosse stata caratterizzata da imprudenza o negligenza.

D’altronde, dato che la disciplina della legge Balduzzi era applicabile solo nei casi in cui il medico si fosse attenuto alle linee guida, veniva da sé che la norma potesse operare solo in caso di imperizia, in quanto l’aderenza alle linee guida è astrattamente incompatibile con gli altri profili di colpa.

Pertanto il medico imprudente o negligente non avrebbe potuto invocare una pretesa adesione alle linee guida per eludere la propria responsabilità e usufruire di un qualsivoglia spazio di impunità.

Il problema della cosiddetta “autoassicurazione”

In questo panorama non è un caso se alcune regioni sono ricorse a una sorta di formula “fai da te”: la cosiddetta autoassicurazione, una definizione impropria che dovrebbe lasciare il posto a quella di autoritenzione del rischio.

Tale sistema si è diffuso dopo fenomeni di crisi e successiva insolvenza di compagnie assicurative specializzate nel settore peculiare della responsabilità civile (RC) sanitaria [4] e del contemporaneo innalzamento dei prezzi delle coperture assicurative avvenuto negli stessi anni (2008–2012).

L’autoritenzione del rischio rappresenta un tentativo di contenere la spesa sanitaria diminuendo l’entità dei premi pagati annualmente a fronte delle polizze stipulate. In Toscana l’idea parte dal caso Careggi, quando furono trapiantati per sbaglio tre organi di un donatore malato di HIV e l’assicurazione, costretta a un risarcimento milionario, lo stesso anno ha disdetto la polizza.

Il modello assicurativo con autoritenzione del rischio è abbastanza intuitivo: l’Azienda sanitaria stipula una polizza con franchigia che limita l’intervento della compagnia assicurativa alla copertura dei risarcimenti di danni particolarmente gravi, per i quali l’esborso è superiore alla soglia della franchigia (nella Regione Veneto, per esempio, la soglia è posta a 500.000 euro) [5], mentre per rimborsi di entità inferiore è l’Azienda stessa a procedere direttamente alla liquidazione del rimborso, ovviamente dopo trattativa tra le parti. Nel 2009 la Toscana spendeva 45 milioni di euro di polizze assicurative per le Asl, con cui copriva circa 1500 denunce di danno l’anno. Nel 2010 ha rimborsato da sola ben il 50% dei danni da errori medici per un valore di 5 milioni di euro. Nella restante metà ci sono sicuramente danni più importanti, ma difficilmente serviranno altri 40 milioni per risarcirli. In più i risarcimenti sono stati dati prima ai cittadini [2].

Le critiche a tale modello assicurativo sono state numerose. Da parte dei sanitari e delle loro organizzazioni sindacali la principale criticità sta nell’esporre il sanitario all’azione di rivalsa della Corte dei Conti. Mentre in regime di assicurazione senza franchigia è la società di assicurazione ad accollarsi in automatico i rischi e i relativi risarcimenti, nella condizione di ritenzione del rischio il risarcimento sotto soglia è erogato in proprio dall’Azienda sanitaria con denaro pubblico e rendicontato annualmente alla Corte dei Conti, che può avviare un procedimento per chiederne conto all’interessato. Esistono tuttavia altre criticità che il modello di ritenzione del rischio comporta. Analogamente all’impresa assicurativa, anche l’Azienda sanitaria dovrebbe annualmente accantonare a riserva una somma destinata alla liquidazione dei sinistri. Mentre il codice delle assicurazioni dà indicazioni sui criteri per costituire la riserva dalla quale attingere per i risarcimenti, le Aziende sanitarie utilizzano criteri più arbitrari con il rischio di scaricare sui bilanci futuri un peso di fatto incognito e senza certezza di sostenibilità. Per i professionisti sanitari ne conseguirebbe un rischio assicurato solo nominalmente. L’auto-ritenzione inoltre, non prevedendo la terzietà dell’assicuratore, può esporre l’azienda sanitaria ad atteggiamenti non neutrali di fronte a richieste risarcitorie appoggiate da pressioni esterne della politica.

Le novità introdotte dalla legge Gelli-Bianco

La legge è molto snella, solo 18 articoli [6] che meritano un esame per coglierne i punti significativi.

Nei primi tre articoli si riafferma che “la sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla salute ed è perseguita nell’interesse dell’individuo e della collettività” e si realizza mettendo in atto un sistema di prevenzione e gestione del rischio e l’utilizzo appropriato delle risorse da parte di tutto il personale, sia dipendente sia libero professionista in regime di convenzione. Si attribuisce alla figura del Difensore Civico regionale, figura già esistente, la funzione di garante del diritto alla salute e si istituisce in ogni Regione il Centro per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente, con la funzione di raccogliere dati su rischi ed eventi avversi nelle strutture pubbliche e private. Contemporaneamente si istituisce, presso l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (Agenas), un Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità, il cui scopo è raccogliere ed elaborare le informazioni relative ai rischi e agli eventi avversi dai Centri regionali per il rischio sanitario avvalendosi del SIMES (Sistema informativo per il monitoraggio degli errori in sanità, istituito con decreto del Ministro del Lavoro dell’11 dicembre 2009). Nello specifico, l’Osservatorio non solo deve acquisire le cause, l’entità e la frequenza degli eventi avversi e stabilire l’onere finanziario del contenzioso che ne discende, ma anche predisporre linee di indirizzo e misure idonee alla prevenzione del rischio sanitario “con l’ausilio delle Società scientifiche e delle Associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie”. Fin dai primi articoli è possibile vedere come il legislatore si proponga di focalizzare l’attenzione sulla necessità di un’efficace politica di risk management ancor prima di affrontare il problema della responsabilità. È positivo anche l’esplicito coinvolgimento delle Società scientifiche e delle professioni sanitarie nella predisposizione di linee di indirizzo e strumenti di prevenzione del rischio.

L’articolo 5 della legge è di particolare interesse per le Società scientifiche: vi si afferma che “Gli esercenti le professioni sanitarie, nell’esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicateed elaborate da enti e istituzioni pubblici e privati nonché dalle Società scientifiche e dalle Associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del Ministro della salute. In mancanza delle suddette raccomandazioni, gli esercenti le professioni sanitarie si attengono alle buone pratiche clinico-assistenziali”. La legge riafferma il ruolo delle linee guida come termine di confronto per stabilire la responsabilità medica, ruolo che era già stato inserito con la legge Balduzzi. Questo enunciato costituisce una novità ragguardevole perché dovrebbe rendere accessibili e conoscibili con precisione le indicazioni mediche emanate dalla comunità scientifica e fornire un parametro per valutare la futura ed eventuale imperizia del medico tanto in sede penale quanto civile. Inoltre il legislatore attribuisce alle linee guida un maggiore rilievo, anche in linea con la dettagliata disciplina con cui sono emesse, rispetto alle buone pratiche clinico-assistenziali, che consistono unicamente in procedure riguardanti percorsi assistenziali basati su standard di qualità e sicurezza.

È prevista una regolamentazione per l’iscrizione delle Società scientifiche a un elenco nazionale, l’inserimento delle linee guida da esse prodotte nel Sistema nazionale per le linee guida (SNLG) e la loro pubblicazione nel sito dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), “previa verifica della conformità della metodologia adottata a standard definiti e resi pubblici dallo stesso Istituto, nonché della rilevanza delle evidenze scientifiche dichiarate a supporto delle raccomandazioni”.

Inoltre, il recente DM del 2 agosto 2017 “Elenco delle società scientifiche e delle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie” determina le caratteristiche che le Società scientifiche devono possedere per poter far parte di questa comunità.

Ma è sulla responsabilità professionale che la legge innova in modo importante. L’articolo 6 introduce nel Codice penale il nuovo articolo 590-sexies, “Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario”, che esclude la punibilità nel caso in cui l’evento si sia verificato a causa di imperizia e il professionista abbia rispettato le raccomandazioni previste dalle linee guida validate e pubblicate o, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali.

Un altro importante cambiamento dell’orientamento giurisprudenziale è introdotto con l’art. 7. Mentre in precedenza tutta la responsabilità professionale sanitaria rientrava nell’alveo della cosiddetta responsabilità contrattuale che comporta la prescrizione di 10 anni dal momento in cui il danneggiato ha conoscenza del danno subito e l’onere della prova di non essere responsabile spettava alla struttura ospedaliera, la legge introduce in ambito civilistico un doppio regime di responsabilità.

Si conferma come contrattuale la responsabilità della struttura sanitaria o sociosanitaria, pubblica o privata, anche per i danni derivanti dalle condotte dolose o colpose degli esercenti le professioni sanitarie. In tal modo il termine di prescrizione è confermato a 10 anni. Resta inoltre configurata come contrattuale la responsabilità di ogni professionista che abbia agito nell’adempimento di un’obbligazione contrattuale con il paziente (per esempio, un odontoiatra o un medico libero-professionista).

Assume invece natura extracontrattuale la responsabilità civile degli esercenti le professioni sanitarie quando chiamati in causa. Questo comporta due elementi importanti a favore dei professionisti sanitari: l’onere della prova è a carico del ricorrente e il termine di prescrizione è ridotto a 5 anni.

Chi intenda esercitare un’azione di responsabilità civile (art. 8) sarà comunque obbligato a tentare una conciliazione, con la partecipazione obbligatoria di tutte le parti, incluse le compagnie di assicurazione, pena la non procedibilità della domanda di risarcimento. Un consulente tecnico d’ufficio (CTU) dovrà aiutare a conciliare la lite con le sue perizie: se il tentativo non riesce o trascorso il termine di 6 mesi, si passa al giudizio.

L’azione di rivalsa (art. 9), è proponibile solo in caso di dolo o di colpa grave e con paletti ben precisi: va esercitata, a pena di decadenza, entro 1 anno dall’avvenuto pagamento. Inoltre, se il professionista sanitario non è stato parte del giudizio, l’azione di rivalsa è esclusa.

L’azione di responsabilità amministrativa verso il sanitario spetta poi al pubblico ministero presso la Corte dei Conti. Con questa scelta il legislatore ha inteso evitare che siano le strutture pubbliche a dover avviare la rivalsa in sede civile contro i propri professionisti. Anche sulla misura della rivalsa si pone un preciso limite: in ogni caso non può superare il triplo della retribuzione lorda dell’anno di inizio della condotta causa dell’evento. Questo costituisce un altro punto cruciale della legge in quanto mettere un limite alle richieste di risarcimento dovrebbe produrre di riflesso una riduzione del costo delle polizze per colpa grave.

Tuttavia il legislatore stabilisce che “per i 3 anni successivi al passaggio in giudicato della decisione di accoglimento della domanda di risarcimento proposta dal danneggiato, l’esercente la professione sanitaria, nell’ambito delle strutture sanitarie o sociosanitarie pubbliche, non può essere preposto a incarichi professionali superiori rispetto a quelli ricoperti e il giudicato costituisce oggetto di specifica valutazione da parte dei commissari nei pubblici concorsi per incarichi superiori”. Tradotto in parole povere: blocco della carriera.

L’art. 10 stabilisce l’obbligo di assicurazione, ma ammette “altre analoghe misure per la responsabilità civile verso terzi”, quali la scelta di ritenere il rischio. Si intende introdurre una rete di copertura assicurativa obbligatoria per tutti, personale dirigente e del comparto. Tutte le strutture pubbliche e private devono assicurarsi per responsabilità contrattuale verso terzi e verso i prestatori d’opera, anche per i danni attribuibili al personale a qualunque titolo operante. Le strutture dovranno poi tutelarsi per la copertura della responsabilità extracontrattuale verso terzi degli esercenti le professioni sanitarie, nell’ipotesi in cui il danneggiato esperisca l’azione direttamente contro di loro [7].

È previsto inoltre l’obbligo di assicurazione a carico del professionista che svolga l’attività al di fuori di una delle strutture o che presti la sua opera in regime libero-professionale o che agisca nella struttura, ma per un’obbligazione contrattuale assunta con il paziente. Tutti i professionisti passibili di azione da parte della Corte dei Conti per danno erariale o di rivalsa in sede civile devono infine stipulare polizze adeguate per colpa grave e con oneri a proprio carico (comma 3).

La garanzia assicurativa deve prevedere una copertura anche per gli eventi accaduti nei dieci anni antecedenti la conclusione del contratto assicurativo, purché denunciati all’impresa di assicurazione durante la validità temporale della polizza (art. 11). Inoltre, “in caso di cessazione definitiva dell’attività professionale per qualsiasi causa deve essere previsto un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i 10 anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di efficacia della polizza, incluso il periodo di retroattività della copertura”. Tale copertura decennale (ultrattività) non solo è estesa agli eredi, ma non è nemmeno disdettabile da parte della compagnia assicuratrice.

L’art. 12 prevede la possibilità di un’ulteriore azione in capo al soggetto danneggiato: la possibilità di un’azione diretta nei confronti dell’impresa di assicurazione della struttura sanitaria e del libero professionista. Anche qui, si pongono dei limiti: il fallimento del tentativo obbligatorio di conciliazione e il limite pecuniario delle somme per cui è stato stipulato il contratto di assicurazione.

L’art. 13 “Obbligo di comunicazione all’esercente la professione sanitaria del giudizio basato sulla sua responsabilità” costituisce un altro punto nodale della legge. Vi si stabilisce che “le strutture sanitarie e sociosanitariee le imprese di assicurazione che prestano la copertura assicurativacomunicano all’esercente la professione sanitaria l’instaurazione del giudizio promosso nei loro confronti dal danneggiato, entro 10 giorni dalla ricezione della notifica dell’atto introduttivo”. Inoltre “l’omissione o la tardività o l’incompletezza delle comunicazioni di cui al presente comma preclude l’ammissibilità delle azioni di rivalsa o di responsabilità amministrativa”. Questo articolo segna un punto di discontinuità rispetto al passato, imponendo alle strutture sanitarie e sociosanitarie l’obbligo della comunicazione fin dall’inizio dell’avvio della richiesta o dell’azione di risarcimento avanzata dal danneggiato.

Per alcuni, l’introduzione di tale obbligo costituisce un indubbio principio di grande civiltà giuridica considerato che nel nostro ordinamento non esisteva alcuna norma che lo imponesse.

Basti considerare che in precedenza, qualora il danneggiato avesse avanzato una domanda risarcitoria, la struttura sanitaria sarebbe stata libera di informare o meno i sanitari coinvolti nel sinistro. L’orientamento giurisprudenziale secondo il quale, fino alla legge Gelli-Bianco, tutta la responsabilità professionale sanitaria rientrava nell’alveo della responsabilità contrattuale, ha fatto sì che molto spesso il paziente presunto danneggiato da malpractice agisse civilmente esclusivamente nei confronti dell’Azienda (pubblica o privata) presso la quale aveva fruito di una prestazione sanitaria, o più raramente chiamando in causa, “solidarmente”, anche il medico da essa dipendente che lo aveva curato. L’Azienda, a sua volta, in molti casi affrontava il giudizio o transava extra-giudizialmente senza che i medici dipendenti coinvolti a vario titolo nelle cure ne sapessero nulla, salvo poi, in caso di risarcimento e a distanza di molti anni, ritrovarsi a rispondere personalmente alla Corte dei Conti delle somme pagate dalla propria Azienda a titolo di risarcimento del danno.

Per altri, l’obbligo di comunicazione si dimostra, in concreto, una soluzione di gran lunga peggiore rispetto al problema in ambito civilistico, con riflessi inevitabili e poco meno importanti anche in quello penalistico [8].

Questo perché l’Ente si trova a dover recapitare formalmente a medici suoi dipendenti una comunicazione che li informa che nei confronti dell’Ente stesso è stata avviata una richiesta o un’azione di risarcimento, anche quando i medici stessi non sono stati chiamati in causa dal presunto danneggiato. Con la comunicazione, per iniziativa del medesimo Ente, si chiamano non solo i medici, ma tutti i professionisti sanitari a qualunque ruolo appartengano, a prender parte alle “trattative stragiudiziali con il danneggiato”.

Il timore di molti è che possa avvenire una valanga di comunicazioni inviate acriticamente dalle Aziende, per ogni singolo caso di presunta malpractice, a una moltitudine di medici e sanitari che risulteranno, alla fine, estranei a qualunque ipotesi di colpa e non soltanto a quelli concretamente coinvolti nel singolo caso.

Questo potrebbe accadere perché il termine di 10 giorni stabilito dalla legge è difficilmente sostenibile: in soli 10 giorni, se va bene, il ricorso notificato dall’avvocato del paziente è stato protocollato, indirizzato agli uffici competenti e visionato in modo sommario. In un tempo così breve, nessun “Nucleo di Valutazione Sinistri” è in grado di individuare quali siano “tutti” i professionisti effettivamente interessati dal procedimento attivato. Ne consegue che, in pratica, ogni volta che un atto è notificato, le direzioni delle strutture sanitarie probabilmente invieranno comunicazioni nei confronti di tutti i professionisti che, direttamente o indirettamente, hanno avuto anche minimi “contatti” con il paziente presunto danneggiato partendo dal suo ingresso in Ospedale sino alla sua dimissione, al fine di non perdere ogni diritto di rivalsa o di azione amministrativa per non aver adeguatamente ottemperato ai termini fissati dalla legge.

C’è da chiedersi inoltre quale clima potrà instaurarsi tra Azienda e professionisti sanitari suoi dipendenti, una volta che una comunicazione più o meno fondata avrà minato l’ambiente di fiducia e serenità all’interno del quale tutto il lavoro è finalizzato a soddisfare i bisogni dei pazienti.

Nei casi di importi eccedenti i massimali, di insolvenza o del venire meno della copertura per recesso unilaterale dell’impresa è istituito (art. 14) un Fondo di garanzia per danni da responsabilità sanitaria, analogamente a quanto avviene nel settore RC auto. Sarà gestito da Consap (Concessionaria servizi assicurativi pubblici) e alimentato dai versamenti annuali, il cui ammontare andrà fissato con decreto, delle imprese assicuratrici autorizzate alla RC per danni da responsabilità sanitaria.

Infine, l’art. 18 inserisce una clausola limitativa già troppo presente in molte leggi emanate oggi nel nostro Paese: l’attuazione delle disposizioni della nuova legge deve trovare un limite “nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e comunque senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”.

Dopo la legge Gelli-Bianco

I primi risultati prodotti dalla legge sono controversi. A un iniziale coro di approvazione, sono poi seguite letture più critiche relative ad alcuni aspetti della legge stessa, in particolare sull’obbligo di comunicazione (art. 13), problema trattato in precedenza.

Vi è chi afferma che la legge abbia peggiorato la posizione dell’operatore sanitario perché questo, prima, in vigenza della Legge Balduzzi, rispondeva penalmente solo per colpa grave (tutti i comportamenti fuori da questo caso escludevano la responsabilità penale): non si faceva una distinzione tra imperizia, negligenza e imprudenza, ma si faceva il semplice distinguo tra colpa grave (quindi con responsabilità penale) e colpa lieve (senza alcuna responsabilità penale).

La stessa Corte di Cassazione con sentenza n. 3 del 2017, per giudicare fatti avvenuti prima dell’entrata in vigore della nuova legge Gelli-Bianco, in vigenza della legge Balduzzi, ha proceduto a un confronto tra le norme penali che si sono succedute nel tempo per disciplinare la medesima fattispecie di reato, ritenendo di individuare la legge Balduzzi come più favorevole [9].

Altri sottolineano come, una volta applicata integralmente la legge, sarà molto più vantaggioso agire direttamente nei confronti dell’Azienda ospedaliera o della sua assicurazione (responsabilità contrattuale, prescrizione a 10 anni) anziché nei confronti del sanitario (responsabilità extracontrattuale, prescrizione a 5 anni e obbligo della prova in capo al danneggiato) come avveniva in passato.

La piena applicazione della legge è ancora di là da venire, in attesa del completamento dei decreti attuativi che ne devono disciplinare l’applicazione, come purtroppo troppo spesso avviene nel nostro ordinamento.

Conclusioni

Per riassumere i punti che più interessano i professionisti sanitari in prospettiva futura, si può affermare che con l’entrata in vigore della legge:

  • si creano le basi per consentire allo Stato e alle Regioni di misurare e monitorare nel tempo quale sia la reale esposizione al rischio mediante il coordinamento delle attività di risk management;

  • si stabiliscono norme idonee a delimitare il perimetro della responsabilità professionale sanitaria, ponendo un limite al potere discrezionale giurisprudenziale e mettendo un limite all’entità dei rimborsi;

  • nel frattempo tutti sono obbligati ad assicurarsi: le assicurazioni sono utilizzate come un ammortizzatore economico per permettere ai sistemi di monitoraggio di riuscire a gestire con consapevolezza il rischio.

È positivo che il presunto danneggiato che intende fare causa debba obbligatoriamente esperire un tentativo di conciliazione (art. 8) citando tutte le parti avanti al Giudice civile in un confronto tra consulenti tecnici (medici legali e specialisti) al fine di chiarire se vi sia o meno responsabilità. In questo scenario, in sede di accertamento tecnico e davanti al giudice civile, è verosimile che il medico dipendente possa presentare interessi in contrasto con quelli della propria Azienda o di altri professionisti.

La legge vuole contribuire alla sostenibilità del sistema assicurativo della responsabilità sanitaria. Tuttavia, sarà necessaria, in fase di applicazione, maggiore attenzione al mercato assicurativo che dovrebbe favorire la sostenibilità e rendere disponibili offerte adeguate e diversificate. Infatti l’obbligo assicurativo di tutti, strutture sanitarie, medici e professionisti sanitari, rischia di essere un’arma spuntata in mancanza della certezza di una sufficiente recettività del mercato assicurativo. La questione di fondo è ristabilire la funzionalità del mercato nel ramo della responsabilità sanitaria, facendo ritornare le compagnie a garantire questo settore. Peraltro, ultimamente, il mercato dà segni della ritrovata volontà delle compagnie a ritornare su questo rischio rendendo disponibili polizze a costi accessibili non solo per il personale dirigente, ma anche per quello del comparto caratterizzato da un basso profilo di rischio.

È necessario inoltre assicurare l’adeguatezza delle future polizze, in particolare per le clausole che regolano l’apertura del sinistro. In tal senso è auspicabile che si possa aprire il sinistro non solamente in presenza di un invito a dedurre da parte della Corte dei Conti o di una sentenza di colpa grave passata in giudicato, ma anche, per esempio, in presenza di qualsiasi comunicazione, da parte di un terzo, all’assicurato in cui lo ritenga responsabile di un danno da lui subito. L’ampiezza della definizione della richiesta di risarcimento è importante per evitare eventuali situazioni di scopertura in caso di attivazione di nuovi contratti assicurativi.

Altrettanta attenzione dovrà essere posta a verificare la reale capacità delle Aziende sanitarie che sceglieranno di continuare ad auto-ritenere il rischio in proprio, di essere in grado di far fronte ai risarcimenti con un’adeguata politica di accantonamenti.

Per ultimo, è necessario che il professionista non sia lasciato solo nella scelta della polizza più adatta alle sue esigenze. Stabilito da tempo con sentenze che le Aziende sanitarie non possano stipulare polizze assicurative per colpa grave che siano “estensione” (per colpa grave) di un’assicurazione di rischio “principale” (per colpa lieve) [10] e preso atto che la legge Gelli-Bianco può far sì che in certi casi assicurazioni, Aziende sanitarie e professionisti possano avere interessi contrastanti, organizzazioni quali sindacati dei sanitari e Società scientifiche che hanno forza contrattuale in virtù del numero di iscritti possono svolgere attività di affiancamento indipendente.

Per queste ultime, inoltre, la valorizzazione delle linee guida e il loro inserimento nel SNLG richiedono alle Società scientifiche un ruolo attivo per verificare se le linee guida prodotte in Italia da Società scientifiche, istituzioni nazionali e regionali e organizzazioni private rispettino gli standard sulle metodologie di produzione [11] e sulla governance dei conflitti di interesse. Una recente ricerca della fondazione GIMBE [12] evidenzia che le linee guida prodotte dalle Società scientifiche oggi potenzialmente utilizzabili sono un numero esiguo e relative a poche aree clinico-assistenziali. La gestione dei conflitti di interesse rimane la principale criticità. Inoltre, i criteri previsti dall’art. 5 della legge sono necessari per accreditare i produttori, ma non sufficienti per garantire la produzione di linee guida di buona qualità. È pertanto necessaria una governance nazionale del processo di produzione di linee guida da parte dell’ISS che possa:

  • definire le priorità ed evitare duplicazioni;

  • favorire la produzione di LG multiprofessionali e/o multidisciplinari;

  • standardizzare i criteri di qualità metodologica;

  • definire le modalità di gestione dei conflitti di interesse.

In conclusione, molto si è fatto e molto resta ancora da fare per migliorare la sicurezza delle cure e la tutela degli operatori sanitari, medici e non medici.

Ma anche con l’impegno di tutti, si potrà fare “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica?”.