Riassunto
Il Gruppo di Studio in Autoimmunologia (GdS-AI) della Società Italiana di Patologia Clinica e Medicina di Laboratorio (SIPMeL), dopo 14 anni dalla ultima edizione, ha ritenuto opportuno revisionare e integrare le “linee guida per l’impiego di test per autoanticorpi nucleo-citoplasmatici nella diagnosi e nel monitoraggio delle malattie autoimmuni sistemiche”, con l’aggiunta di nuove tematiche, la modifica di precedenti raccomandazioni e la rivalutazione di aspetti controversi del precedente documento.
Per l’elaborazione di questa edizione, la valutazione della “qualità delle evidenze” e l’espressione della “forza delle raccomandazioni” sono state definite secondo il metodo GRADE (Grading of Recommendation Assessment, Development and Evaluation), frutto dell’attività avviata nel 2000 da un gruppo di lavoro internazionale che aveva come scopo la definizione di un metodo rigoroso ed esplicito per la produzione di raccomandazioni cliniche. Il documento è articolato in 18 raccomandazioni, suddivise in 4 sezioni; ognuna di esse è introdotta da un quesito clinico con scelta e valutazione formale degli outcome a esso correlati, seguito dalla valutazione sistematica della letteratura scientifica e della qualità delle prove reperite. La definizione formale della forza delle raccomandazioni, espressa come “forte” o “debole”, è stata assegnata per consenso da tutti i membri del GdS-AI della SIPMeL. Questa revisione delle linee guida, nel fornire una sintesi sullo stato attuale dei test per la ricerca degli autoanticorpi anti-antigeni intracellulari, formula una serie di raccomandazioni rivolte soprattutto all’appropriatezza della richiesta, alla metodologia analitica da utilizzare, all’interpretazione e alla modalità di refertazione dei risultati. Infine, il documento affronta problematiche ancora aperte, quali l’utilizzo di nuovi termini e acronimi per denominare i test autoanticorpali in uso nella diagnostica delle malattie reumatiche autoimmuni e la standardizzazione dei metodi di dosaggio degli autoanticorpi.
Summary
After 14 years since the last edition, the Study Group on Autoimmune Diseases (GdS-AI) of the Italian Society of Clinical Pathology and Laboratory Medicine (SIPMeL) has revised and supplemented the “Guidelines for the laboratory use of autoantibody tests in the diagnosis and monitoring of autoimmune rheumatic diseases”, with addition of new themes, update of recommendations and revaluation of the controversial aspects of the previous document. For the preparation of this edition, the assessment of the “quality of evidence” and of “strength of the recommendations” has been defined by the GRADE (Grading of Recommendation Assessment, Development and Evaluation) method, developed in 2000 by an international working group as a rigorous and explicit method for the production of clinical recommendations. The document is divided into 4 sections including 18 recommendations; each is introduced by a question, followed by the systematic evaluation of the scientific literature and the quality of the evidence found. The formal definition of the strength of the recommendations, expressed as “strong” or “weak”, has been assigned by consensus of all members of GdS-AI SIPMeL. This updated revision of the guidelines provides an overview on the current status of the tests for the detection of autoantibodies to intracellular antigens, including solid phase immunoassays and the automated reading of indirect immunofluorescence. Recommendations are directed mainly to the appropriateness of the request, the analytical methodology to be used, the interpretation and reporting of results. Finally, the document approaches open issues, such as the use of new terms and acronyms to name autoantibody tests used to diagnose autoimmune rheumatic diseases and the harmonization of procedures for the detection of autoantibodies.
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Introduzione
Le linee guida sono “raccomandazioni di comportamento, elaborate mediante un processo di revisione sistematica della letteratura e delle opinioni di esperti, con lo scopo di aiutare i medici nella scelta delle modalità assistenziali più appropriate in specifiche situazioni cliniche” [1]. Le linee guida nascono quindi per rispondere a un obiettivo fondamentale: assicurare il massimo grado di appropriatezza degli interventi, riducendo al minimo quella parte di variabilità nelle decisioni cliniche che è legata alla carenza di conoscenze e alla soggettività nella definizione delle strategie diagnostico-assistenziali. L’elaborazione e il periodico aggiornamento delle linee guida costituiscono perciò un processo dinamico, mai concluso, teso a modificare positivamente decisioni e comportamenti nei percorsi diagnostico-terapeutici. Negli anni trascorsi dalla pubblicazione delle “Linee guida per la diagnosi e il monitoraggio delle malattie autoimmuni sistemiche” nel 1999 [2] e dalle successive revisioni da parte del Gruppo di Studio in Autoimmunologia (GdS-AI) della Società Italiana di Patologia Clinica e Medicina di Laboratorio (SIPMeL) [3, 4], le metodologie di ricerca degli anticorpi anti-antigeni nucleo-citoplasmatici sono ulteriormente progredite e nuovi autorevoli documenti sono stati pubblicati sull’argomento, come le ultime raccomandazioni prodotte dall’EASI (European Autoimmunity Standardization Initiative) [5]. Molti studi hanno confermato nel tempo gran parte delle raccomandazioni presenti nelle prima versione delle linee guida del GdS-AI. Altri studi, invece, hanno modificato alcuni dei precedenti percorsi suggerendo nuove raccomandazioni basate sulle conoscenze più recenti. L’obiettivo di questo documento è integrare le precedenti linee guida del GdS-AI in base ai risultati degli studi pubblicati negli ultimi 14 anni sugli autoanticorpi anti-antigeni intracellulari, per un loro migliore utilizzo nella diagnosi e nel monitoraggio delle malattie reumatiche autoimmuni (MRA). Nonostante lo sforzo profuso nella rielaborazione, il gruppo è consapevole che il documento non copre ogni necessità e non soddisferà tutti i professionisti che si occupano di autoimmunologia nel laboratorio clinico. Lo sforzo fatto, con lo stesso spirito con cui erano state riviste nel 2002 le linee guida del 1999, rappresenta un ulteriore passo per affrontare meglio il lavoro di ogni giorno.
Approccio utilizzato per l’elaborazione delle linee guida
Negli ultimi decenni, con il crescere della popolarità e dell’uso dello strumento “linee guida”, un numero sempre maggiore di organizzazioni ha sviluppato e utilizzato differenti metodi di valutazione della qualità delle evidenze e della forza delle raccomandazioni. A oggi sono disponibili diversi sistemi di classificazione, molti dei quali però non distinguono adeguatamente il concetto di “qualità delle prove” e di “forza delle raccomandazioni”. A questo proposito la nuova concettualizzazione proposta dal metodo GRADE (Grading of Recommendation Assessment, Development and Evaluation) [6] per la valutazione della qualità delle prove, necessaria nel percorso di formulazione di raccomandazioni di comportamento su temi di rilevanza clinico-epidemiologica, appare come il miglior sistema per strutturazione e trasparenza. Il Gruppo di Studio in Autoimmunologia della SIPMeL ha identificato 18 domande, suddivise in 4 sezioni, relative all’impiego di test per la ricerca di autoanticorpi anti-antigeni intracellulari nella diagnosi e nel monitoraggio delle MRA. La letteratura relativa a ogni domanda è stata riesaminata tenendo in debito conto che, se per molti quesiti terapeutici gli studi controllati randomizzati (RCT) sono la migliore opzione metodologica, per quesiti di tipo non terapeutico (per es. nella valutazione dell’accuratezza di un test diagnostico) il disegno RCT non solo non è utile, ma la sua applicazione è, di fatto, inappropriata [6]. Nella ricerca di citazioni rilevanti per la revisione è stato interrogato il database PubMed utilizzando i seguenti termini Mesh: antinuclear antibody, extractable nuclear antigens, anti-DNA antibodies, connective tissue diseases, autoimmune diseases, autoimmune rheumatic diseases. La ricerca bibliografica è stata integrata con l’esame della bibliografia presente negli articoli più significativi e con l’opinione e l’esperienza di clinici e specialisti di laboratorio. Nel documento finale ogni argomento è introdotto da una domanda, seguita quando possibile da una raccomandazione formale. Il metodo GRADE prevede che le raccomandazioni siano assegnate a due categorie mutualmente esclusive: “forte” e “debole” a favore o contro uno specifico intervento. Il metodo GRADE suggerisce, in merito alla valutazione della qualità delle evidenze, di procedere valutando prima la qualità per singolo outcome e successivamente di formulare un giudizio complessivo, considerando soltanto gli outcome critici o essenziali per la formulazione della raccomandazione relativa al quesito clinico. La qualità delle prove su cui si basa la raccomandazione è stata a sua volta classificata come “forte”, “moderata”, “bassa” o “molto bassa”. Secondo il metodo GRADE la valutazione della qualità delle prove non deve basarsi solo sull’appropriatezza del disegno dei singoli studi disponibili (trial clinico controllato, studio osservazionale, altro), ma deve anche considerare altri criteri, che sono in parte studio-specifici e in parte richiedono invece una valutazione d’insieme all’interno della revisione sistematica, relativi a:
-
limiti nella qualità di conduzione dei singoli studi;
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coerenza dei risultati tra studi differenti;
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diretta applicabilità/rilevanza dei risultati rispetto ai soggetti/pazienti per i quali deve essere formulata la raccomandazione;
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precisione dei risultati;
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pubblicazione selettiva dei dati;
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forza dell’associazione tra intervento e outcome;
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presenza di un gradiente dose-risposta;
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“direzione” degli effetti dei confondenti plausibili.
L’interpretazione di questo sistema di valutazione è spiegata in dettaglio nella Tabella 1.
Con questo sistema di classificazione, una raccomandazione può essere forte anche sulla base di prove di bassa qualità se si arriva, comunque, alla conclusione che i benefici superano i rischi e gli effetti indesiderati (o, viceversa, per raccomandazioni negative). La forza delle raccomandazioni è stata assegnata per consenso da tutti i membri del Gruppo di Studio in Autoimmunologia della SIPMeL.
Sezione 1. Significato dei termini “autoanticorpi anti-nucleo” (ANA) e “antigeni nucleari estraibili” (ENA)
1a
Il termine “autoanticorpi anti-nucleo” e l’acronimo “ANA”, riferendosi a un insieme di autoanticorpi diretti verso vari distretti cellulari anche diversi dal nucleo, devono essere considerati anacronistici?
Gli autoanticorpi anti-nucleo (ANA) sono diretti verso distinti componenti del nucleo e tradizionalmente sono ricercati con la tecnica di immunofluorescenza indiretta (IFI). Con questa metodica, oltre agli anticorpi diretti verso componenti nucleari, si evidenziano anche anticorpi diretti verso antigeni situati in altri compartimenti cellulari. Quando vengono utilizzate le cellule HEp-2 come substrato, il metodo IFI consente la rilevazione di autoanticorpi diretti verso almeno 30 distinti antigeni nucleari e citoplasmatici [7]. Inoltre non tutti gli autoantigeni sono strettamente localizzati in un unico compartimento cellulare e la loro funzione e relativa concentrazione nei diversi distretti varia in relazione allo stato fisiologico della cellula [8]. Il termine anticorpi anti-nucleo, nella sua accezione letterale, è pertanto riduttivo, poiché il metodo utilizzato rileva la presenza di un insieme di autoanticorpi diretti verso diverse strutture cellulari che comprendono costituenti nucleari, componenti della membrana nucleare, dell’apparato mitotico, del citosol, degli organelli citoplasmatici e della membrana cellulare [9]. Una nuova terminologia (per es. anticorpi anti-antigeni intracellulari) potrebbe descrivere con maggiore precisione il reale ambito diagnostico del test. Tuttavia, l’uso dell’acronimo ANA è talmente radicato e universalmente impiegato da più di 50 anni che, al momento, non appare facilmente sostituibile. La sua sostituzione in maniera unilaterale da parte del GdS-AI potrebbe dunque costituire un inutile sforzo di scarso impatto. Il GdS-AI ritiene che l’acronimo ANA possa essere al momento mantenuto, ma che a esso venga associata la dicitura “anticorpi anti-antigeni intracellulari” in modo da esplicitare chiaramente che la ricerca comprende gli autoanticorpi diretti verso tutti i costituenti cellulari e non solo quelli contenuti nel nucleo.
Raccomandazione. Il termine “autoanticorpi anti - nucleo” e il corrispettivo acronimo ANA non possono essere considerati tecnicamente corretti poiché non sono esaustivi dello spettro di tutti gli autoanticorpi riconosciuti. Dovrebbero perciò essere sostituiti da nuovi termini e acronimi, capaci di comprendere tutti gli autoanticorpi diretti nei confronti di qualsiasi epitopo e costituente cellulare rilevabile con le attuali procedure analitiche, per rendere i referti più comprensibili ed evitare errori interpretativi. Tuttavia l’acronimo ANA, a causa del suo uso consolidato e universalmente adottato, può continuare a essere utilizzato con la dicitura “ANA—anticorpi anti - antigeni intracellulari”.
- Qualità globale delle evidenze::
-
moderata
- Forza della raccomandazione::
-
forte
1b
L’acronimo ENA (extractable nuclear antigens) può essere considerato obsoleto in quanto inadeguato a indicare tutte le specificità anticorpali dirette nei confronti degli autoantigeni nucleo-citoplasmatici attualmente rilevabili?
Originariamente il termine ENA era riferito alle proteine nucleari estraibili in soluzione salina o in acetone, utilizzate per identificare gli antigeni bersaglio degli ANA [10]. Questo termine viene oggi utilizzato in maniera molto più ampia per indicare tutte le specificità antigeniche, comprese quelle nucleari non estraibili e quelle citoplasmatiche. Il termine ENA, coniato circa 35 anni orsono, appare perciò ormai inadeguato a rappresentare la grande varietà di autoantigeni nucleo-citoplasmatici estraibili e non estraibili identificati negli ultimi anni. Il termine anticorpi anti-antigeni nucleo-citoplasmatici specifici o anticorpi anti-antigeni intracellulari specifici appare più adatto a identificare l’insieme dei test diagnostici definiti attualmente anti-ENA.
Raccomandazione. L’acronimo ENA (extractable nuclear antigens) dovrebbe essere sostituito dal termine “anticorpi anti - antigeni nucleo - citoplasmatici specifici” o “anticorpi anti - antigeni intracellulari specifici” poiché oggi possono essere ricercati autoanticorpi diretti verso un numero maggiore di specificità antigeniche cellulari di quelle rilevabili quando fu coniato l’acronimo, comprese quelle nucleari non estraibili e quelle citoplasmatiche.
- Qualità globale delle evidenze::
-
moderata
- Forza della raccomandazione::
-
forte
Sezione 2. Anticorpi anti-antigeni intracellulari (ANA)
2a
Nei pazienti con segni e sintomi riconducibili a MRA deve essere sempre eseguita la ricerca degli anticorpi anti-antigeni intracellulari, il cosiddetto test ANA, come test di primo livello?
La presenza degli ANA è associata con le MRA [11]; in particolare, è utile nello screening iniziale dei pazienti con sospetto di lupus eritematoso sistemico (LES) [12, 13] e per l’inquadramento diagnostico di altre patologie autoimmuni, tra le quali la sindrome di Sjögren, la malattia mista del tessuto connettivo (MCTD), il lupus eritematoso indotto da farmaci, la dermato/polimiosite e la sclerodermia (SSc). Il metodo di riferimento per la ricerca degli ANA è tuttora l’IFI, tecnica analitica descritta da Coons e Kaplan nel 1950. Infatti, il test per la ricerca degli ANA in IFI su cellule HEp-2 (che contengono più di 100 antigeni diversi) possiede le caratteristiche proprie di un array e ha un’elevata sensibilità diagnostica, in particolare per alcune MRA, come il LES (95%), la MCTD (100%) e il lupus indotto da farmaci (100%). La dimostrazione di anticorpi anti-antigeni intracellulari costituisce criterio classificativo-diagnostico per alcune malattie autoimmuni sistemiche, mentre per altre assume un ruolo di supporto alla diagnosi (valore diagnostico) (Tab. 2) [14]. Gli autoanticorpi anti-antigeni intracellulari possono precedere di anni le manifestazioni cliniche della patologia autoimmune e hanno perciò valore predittivo [15–22]. Questa caratteristica degli ANA offre una finestra di opportunità per intervenire, in termini di prevenzione e di trattamento, al fine di modificare il decorso naturale della patologia (valore preventivo) [23]. Infine, gli autoanticorpi anti-antigeni intracellulari, in alcune condizioni, forniscono indicazioni sulla severità del decorso clinico e sulla probabilità d’insorgenza di complicanze, per esempio nel LES, nelle miopatie infiammatorie e nella SSc (valore prognostico) [24–26]. È da rimarcare, tuttavia, che un risultato positivo del test non è specifico per MRA [27, 28]. Gli ANA sono infatti presenti anche in pazienti non affetti da patologie autoimmuni (malattie infettive, neoplastiche, ecc.) e nei pazienti che assumono determinati farmaci. Infine, ANA falsi positivi (presenza di autoanticorpi anti-antigeni intracellulari in assenza di malattie autoimmuni) possono essere rinvenuti in individui sani, più frequentemente di sesso femminile, soggetti anziani e parenti di primo grado di pazienti con malattie autoimmuni [29–31].
Raccomandazione. La ricerca degli ANA con metodo IFI, per la sua elevata sensibilità diagnostica, costituisce il test di primo livello per la diagnosi delle MRA. In considerazione della non elevata specificità, il test ANA deve essere richiesto come supporto alla diagnosi di malattia in pazienti con caratteristiche cliniche suggestive di una patologia reumatica autoimmune.
- Qualità globale delle evidenze::
-
alta
- Forza della raccomandazione::
-
forte
2b
Il test ANA può essere utilizzato allo scopo di escludere la presenza di malattie reumatiche autoimmuni?
Considerata la frequenza di positività degli ANA nelle MRA (100% nella MCTD, variabile tra 95% e 100% nel LES, 60% e 80% nella sclerosi sistemica, 30% e 80% nella dermato/polimiosite, 40% e 70% nella sindrome di Sjögren [11, 24]) è altamente improbabile che un paziente con un risultato negativo per gli ANA sia affetto da LES o MCTD, mentre non può essere escluso che possa essere affetto da un’altra MRA [26, 32, 33]. In rari casi il test può risultare negativo in pazienti con LES [34]. I pazienti con lupus che hanno un test ANA negativo possono in realtà presentare anticorpi anti-SSA/Ro [35, 36] che non sono sempre rilevabili a causa della ridotta espressione degli antigeni-bersaglio nelle cellule HEp-2 o per perdita o denaturazione degli antigeni durante la procedura di fissazione [37].
Raccomandazione. Un test ANA negativo ha un elevato valore predittivo negativo solo per il LES e la MCTD e non esclude comunque la possibilità che il paziente sia affetto da altra MRA.
- Qualità globale delle evidenze::
-
moderata
- Forza della raccomandazione::
-
forte
2c
La ripetizione nel tempo degli ANA precedentemente risultati negativi o positivi a basso titolo con metodologia IFI è giustificata in soggetti con scarsi o assenti segni e/o sintomi clinici?
Quando si ricercano gli ANA in una popolazione con bassa probabilità pretest di MRA è molto comune trovare risultati positivi a basso titolo [29]. Tuttavia, l’assunto che un risultato “positivo a basso titolo” sia clinicamente insignificante deve essere attentamente valutato perché la ridotta espressione di alcuni antigeni, la diversa affinità degli anticorpi verso gli antigeni bersaglio e la variabile e non sempre ottimale sensibilità analitica dei metodi IFI per le diverse specificità antigeniche possono concorrere a ridurre la sensibilità diagnostica del test [38]. La ricerca degli ANA può essere ripetuta dopo almeno 6–12 mesi in caso di condizioni cliniche stazionarie o prima in caso di comparsa di nuovi segni o sintomi sospetti [8].
Raccomandazione. La ripetizione della ricerca degli ANA risultati negativi o positivi a basso titolo è giustificata in fase diagnostica in caso di successiva comparsa di segni clinici sospetti. In assenza di variazioni del quadro clinico non è consigliabile la ripetizione degli ANA prima di 6–12 mesi.
- Qualità globale delle evidenze::
-
moderata
- Forza della raccomandazione::
-
forte
2d
Le variazioni del titolo degli ANA sono utili nel monitoraggio del decorso e della terapia dei pazienti affetti da MRA, in quanto espressione dell’attività della malattia?
La variazione del titolo degli ANA in IFI non è correlata con l’attività della malattia. Non è pertanto utile ripetere la ricerca degli ANA in assenza di un cambiamento del quadro clinico, tale da implicare variazioni della diagnosi e/o dell’approccio terapeutico [8, 39]. La determinazione degli ANA ha principalmente valore di inquadramento diagnostico e non è in generale utile ai fini del monitoraggio dell’attività di malattia. In età pediatrica un’eccezione è rappresentata dall’artrite giovanile cronica/artrite giovanile infiammatoria in cui un elevato titolo anticorpale o un suo incremento può identificare un subset di pazienti a rischio di sviluppare uveite [40].
Raccomandazione. Nei pazienti con diagnosi consolidata di MRA non è appropriata la ripetizione degli ANA se non in presenza di mutamenti del quadro clinico.
- Qualità globale delle evidenze::
-
moderata
- Forza della raccomandazione::
-
forte
2e
È possibile eseguire la ricerca degli ANA con metodi analitici alternativi all’IFI (ELISA, MBA, CLIA, FEIA, ALBIA ecc.)?
Nonostante i recenti progressi nell’automazione della procedura analitica e nel riconoscimento dei quadri fluoroscopici mediante sistemi esperti [41], la ricerca degli ANA con la tecnica IFI presenta ancora alcune limitazioni metodologiche e interpretative: è una procedura che richiede tempo, è scarsamente standardizzata ed è caratterizzata da interpretazione soggettiva e da scarsa riproducibilità dei risultati. Inoltre, la tecnica IFI può talora produrre risultati falsamente negativi in presenza di autoanticorpi anti-Jo1, anti-proteina P ribosomiale, anti-PCNA e anti-SSA/Ro [33, 42–48]. L’evoluzione delle conoscenze, che ha ampliato il numero e il tipo dei test diagnostici necessari per inquadrare accuratamente le malattie autoimmuni, e la necessità di ridurre i costi hanno spinto verso l’automazione anche gli esami di laboratorio dedicati all’autoimmunologia [49]. Pertanto, anche con l’obiettivo di rendere più semplice e standardizzata la ricerca degli ANA, l’industria biomedica ha investito risorse nella messa a punto di metodi immunometrici automatizzati (ELISA, MBA, CLIA, FEIA, ALBIA, ecc.) [50–53] da impiegare nella prima fase della diagnostica delle MRA in sostituzione dell’IFI. Queste nuove metodologie immunometriche sono generalmente caratterizzate sul piano strettamente operativo da superiore produttività, maggiore riproducibilità e semplicità d’uso, costi gestionali inferiori rispetto al metodo IFI [54]. Le nuove tecnologie sono state adottate in numerosi Laboratori clinici anche perché implementabili su piattaforme analitiche comuni ad altri test di laboratorio. Tuttavia, le performance analitiche e diagnostiche di queste tecniche sono molto diverse tra loro e i risultati non sempre sono correlati a quelli ottenuti con il metodo IFI [55, 56], al punto da generare disorientamento e confusione nella valutazione clinica dei risultati di test ANA eseguiti con differenti sistemi analitici.
Dai dati della letteratura emerge che fino al 35% dei pazienti con LES e test ANA positivo in IFI risulta negativo con metodi alternativi [57–61]. I motivi alla base della minore sensibilità diagnostica dei metodi immunometrici rispetto all’IFI sono essenzialmente legati a tre ordini di fattori: (a) la preparazione degli antigeni (sia estrattivi che ricombinanti) non permette sempre una completa riproducibilità conformazionale delle molecole; (b) i sistemi immunometrici non includono tutti gli antigeni presenti nelle cellule HEp-2 [62, 63]; (c) non tutti i sistemi antigene/anticorpo responsabili di una positività in IFI sono al momento disponibili nei test immunometrici [64–76]. Nel 2009 l’American College of Rheumatology (ACR) ha espresso la propria posizione sulle modalità di ricerca degli ANA elaborando uno specifico documento di consenso che riconferma l’IFI quale metodo analitico di riferimento per la ricerca degli ANA [77]. Lo stesso documento raccomanda che i metodi alternativi siano utilizzati solo qualora le loro performance diagnostiche siano sovrapponibili o superiori rispetto a quelle della tecnica IFI.
Successivamente, la revisione di nove studi di comparazione di risultati di ANA, eseguiti in parallelo in IFI e con vari metodi immunometrici su 705 pazienti con LES, ha evidenziato una maggiore sensibilità diagnostica del metodo IFI rispetto agli altri metodi indagati e ha confermato questa tecnica quale gold standard per la determinazione degli ANA [78]. I saggi immunometrici come FEIA, CLIA ed ELISA includono relativamente pochi antigeni rispetto a quelli presenti nelle cellule HEp-2 intatte, essendo generalmente basati su combinazioni variabili di 6–18 antigeni purificati o ricombinanti, ai quali vengono talora aggiunti estratti di cellule HEp-2, con l’intento di assicurare il rilevamento di una gamma più ampia di autoanticorpi [79–81]. Questi test, caratterizzati in genere da buone prestazioni analitiche, hanno tuttavia sensibilità e specificità diagnostica variabili per le diverse MRA. In uno studio più recente solo il 51% dei pazienti con sclerodermia risultava positivo con il test immunometrico in valutazione, rispetto al 91% in IFI, perchè incapace di evidenziare gli anticorpi anti-RNA polimerasi III [63]. Quindi, quando per la ricerca degli ANA viene utilizzato un test immunometrico devono essere elencate le specificità antigeniche presenti nel sistema e, in caso di risultato negativo, deve essere esplicitato che la negatività al test non equivale alla negatività verso tutti gli antigeni intracellulari, ma soltanto verso quelli indagati.
Raccomandazione. Per la ricerca degli ANA si raccomanda l’utilizzo della metodologia di immunofluorescenza indiretta, usando cellule HEp - 2 come substrato, in quanto le procedure analitiche alternative (ELISA, MBA, CLIA, FEIA, ALBIA ecc.), non sono al momento in possesso di analoga sensibilità diagnostica.
- Qualità globale delle evidenze::
-
alta
- Forza della raccomandazione::
-
forte
2f
Nell’eventualità che la ricerca degli ANA venga eseguita con metodologie diverse dall’IFI, nel referto possono essere utilizzati termini quali “ANA test” o “ANA screen” per descrivere l’indagine diagnostica?
Le tecnologie e le piattaforme diagnostiche disponibili per la ricerca degli ANA e degli autoanticorpi correlati sono cresciute notevolmente negli ultimi 10 anni. Metodi immunoenzimatici [51, 60, 82–86], dot blot [87], line immunoassay (LIA) [85, 88–90], chemiluminescenza [91–93], e più recentemente i test multiparametrici immunometrici, basati su tecnologie quali addressable laser bead arrays (ALBIA) [94–102], microarray planari e non-planari [103–111], particelle nanobarcodes [112] e altre nuove e promettenti tecnologie sono in continuo sviluppo e vengono progressivamente rese disponibili. La capacità di rilevare oltre 30 autoanticorpi con una sola goccia di sangue è oggi alla portata del Laboratorio e tecnologie come le particelle nanobarcodes potrebbero aumentare in maniera esponenziale la possibilità di ricercare autoanticorpi contemporaneamente con un solo test (fino a 80.000 analiti) [113]. Attualmente, però, i test alternativi disponibili sono caratterizzati da performance analitiche non sovrapponibili al test ANA-IFI su cellule HEp2 [78, 85, 88] a causa, in particolare, di una ridotta sensibilità nei soggetti con LES e una specificità diagnostica variabile nei confronti delle singole MRA. In considerazione di ciò, termini come ANA test, ANA screen e similari non devono essere utilizzati per descrivere metodi analitici alternativi all’IFI, poiché contribuiscono a generare confusione e incertezza nell’interpretazione dei risultati. Risultati falsi negativi nella ricerca degli ANA, ottenuti con metodologie analitiche diverse dall’IFI basate sull’utilizzo di un numero ristretto di specificità antigeniche e non chiaramente esplicitate, potrebbero essere causa di mancata o tardiva diagnosi di patologie autoimmuni di rilevanza clinica [5]. L’esplicita descrizione della procedura analitica scelta e degli autoantigeni presenti sulla fase solida dei test immunometrici è requisito indispensabile per fare chiarezza sugli autoanticorpi effettivamente ricercati e sull’accuratezza diagnostica che ogni singola metodologia può presentare nelle diverse situazioni cliniche [114–117].
Raccomandazione. Nell’eventualità che la ricerca degli ANA venga eseguita esclusivamente con metodologie diverse dall’IFI, basate su un numero definito di antigeni cellulari, il test non deve essere denominato genericamente “ANA screen” o “ANA - test” per evitare errori nell’interpretazione e nel confronto di risultati generati da tecniche analitiche differenti. I Laboratori che utilizzano tali metodiche analitiche devono specificare nel referto la metodologia analitica utilizzata e le specificità anticorpali ricercate.
- Qualità globale delle evidenze::
-
moderata
- Forza della raccomandazione::
-
forte
2g
Al fine di una migliore discriminazione tra popolazione sana e malata, quale diluizione iniziale si deve utilizzare per il test ANA in IFI e quali criteri devono essere adottati per la valutazione dei risultati del test?
L’utilizzo della linea cellulare HEp-2 (cellule epiteliali di carcinoma della laringe umana) come substrato per il test ANA in IFI presenta un’elevata sensibilità diagnostica in pazienti con MRA, ma una ridotta specificità (presenza di risultati positivi in individui sani e in pazienti affetti da patologie non reumatiche autoimmuni). Uno studio multicentrico riportava che il 31,7% degli individui normali era ANA positivo alla diluizione di 1:40 e che la frequenza di falsi positivi si riduceva al 13,3% alla diluizione di 1:80 e al 5,0% a 1:160. Poiché circa il 95% di sieri di pazienti con LES era positivo alla diluizione di 1:160, a tale diluizione è possibile ottenere una migliore discriminazione tra un risultato ANA positivo clinicamente significativo e un risultato ANA di scarso significato clinico. Tuttavia, poiché la frequenza di positività degli ANA con questo cut-off era dell’87% nella SSc e del 74% nella sindrome di Sjögren [29], la diluizione iniziale 1:160 del siero, che secondo alcuni autori costituirebbe la migliore scelta economica per lo screening degli ANA in IFI [118], non garantisce una sensibilità diagnostica ottimale per tutte le MRA. Inoltre, campioni ANA-positivi a titoli inferiori a 1:160 sono positivi in circa il 5% dei casi ai test di secondo livello (anti-dsDNA, anti-antigeni intracellulari specifici ecc.) [51, 119–121].
Le evidenze sul significato clinico degli ANA e sul loro valore predittivo per MRA riguardano prevalentemente la popolazione adulta; gli studi che trattano tale argomento in età pediatrica sono poco consistenti per l’esiguità della casistica presa in esame, tanto che sarebbe auspicabile consolidare tali evidenze nei bambini [122]. I dati della letteratura a oggi disponibili, comunque, concordano sull’inutilità di utilizzare una diluizione di screening inferiore rispetto a quella usata per la popolazione adulta [123]. Uno studio più recente [124] ha evidenziato che i bambini che erano risultati ANA positivi alla diluizione di 1:80 (12% di quella casistica) non manifestavano segni e sintomi di MRA, in accordo con i risultati di un altro studio [125] nel quale solo il 55% di bambini con ANA >1:160 andava incontro a una diagnosi certa di MRA.
Raccomandazione. Nella determinazione degli ANA in IFI si raccomanda di utilizzare una diluizione iniziale di 1:80, riportando tale dato nel referto. Un titolo ≥1/160 va considerato positivo; un titolo di 1:80 va considerato basso positivo; un titolo <1:80 va considerato negativo. Per la fascia di età pediatrica, in attesa di ulteriori studi che consolidino le evidenze a oggi disponibili e in accordo con queste, si raccomanda l’utilizzo della stessa diluizione di partenza per lo screening e dei medesimi criteri di valutazione dei risultati proposti per la popolazione adulta.
- Qualità globale delle evidenze::
-
moderata
- Forza della raccomandazione::
-
forte
2h
Nella ricerca degli ANA con metodo IFI devono essere riportati nel referto anche il pattern fluoroscopico e il titolo?
Il quadro fluoroscopico osservabile in IFI su cellule HEp-2 è correlato alla specificità anticorpale, ovvero alla struttura antigenica bersaglio, nucleare, mitotica o citoplasmatica [9] (Tab. 3). Al momento, dei circa 30 quadri fluoroscopici rilevabili solo circa la metà è ragionevolmente associata a quadri clinici; tra i quadri di fluoroscenza nucleare patologia-associati i più frequenti sono costituiti dalla fluorescenza omogenea (dsDNA, nucleosomi, istoni), granulare (snRNP, Sm, Ro/SSA, La/SSB), centromerica (CENP-A,B,C), nucleolare (PM/Scl, nucleolina, fibrillarina, RNA polimerasi I, hUBF), granulare-nucleolare (DNA-topoisomerasi I o Scl70), mentre tra i più rari si annoverano il quadro pleomorfo o PCNA (ciclina), il quadro puntiforme o nuclear dots (proteina Sp100), il quadro di membrana (laminine A, B, C, gp210). I quadri fluoroscopici citoplasmatici patologia-associati sono di riscontro relativamente poco frequente e sono costituiti dalla fluorescenza granulare (aminoacil-tRNA sintetasi), mitocondriale (proteine del complesso piruvato-deidrogenasi), ribosomiale (ribonucleoproteine ribosomiali), dei costituenti del citoscheletro (actina, vimentina ecc.), dell’apparato di Golgi e simil-lisosomiale. Per quanto riguarda i rari quadri fluoroscopici mitotici patologia-associati sono da annoverare la fluorescenza del fuso (tubulina), dei centrioli (enolasi), dei poli o NuMA (nuclear mitotic apparatus protein), del corpo intermedio o midbody e della proteina cromosomiale CENP-F, la cui presenza è però associata con neoplasie o epatiti virali B e C [126]. Tuttavia, la positività ANA con un determinato pattern fluoroscopico non sempre è specifica per la presenza di una malattia autoimmune o, comunque, di uno stato patologico. Per esempio, in un recente studio di comparazione tra individui sani e affetti da MRA, alcuni ricercatori hanno suggerito che la positività per ANA con pattern fluoroscopico dense fine speckled (DFS70) sia presente prevalentemente in soggetti non affetti da MRA [127–130].
L’uso di una terminologia univoca per definire i pattern fluoroscopici ANA costituisce un prerequisito indispensabile per garantire risultati universalmente comprensibili e confrontabili con quelli generati da altri Laboratori. Nonostante i numerosi tentativi per standardizzare le procedure analitiche utilizzate per la ricerca degli autoanticorpi diretti nei confronti degli antigeni intracellulari e la disponibilità di specifici sieri di riferimento, a tuttoggi l’obiettivo non è ancora stato raggiunto [131] e non è stata definita una terminologia condivisa per descrivere i quadri fluoroscopici riconoscibili sulle cellule HEp-2 [9, 132]. Tra le ragioni alla base della mancata standardizzazione le più importanti sono la soggettività dell’interpretazione del pattern e le differenze dei diversi substrati di cellule HEp-2 presenti in commercio [23, 131].
Recentemente, riaffermato il ruolo centrale della ricerca degli ANA con metodo IFI, sono state sviluppate tecnologie completamente automatizzate non solo per l’allestimento dei preparati, ma anche per l’acquisizione e la valutazione delle immagini fluoroscopiche. Questi cosiddetti sistemi “esperti” sono capaci di classificare con sufficiente accuratezza i campioni esaminati per la ricerca degli ANA in negativi e positivi. In caso di positività possono, attraverso l’utilizzo di complessi algoritmi, suggerire il possibile pattern fluoroscopico, nell’ambito di quelli più comunemente osservati, e di stimare il titolo anticorpale [41, 133–142]. Nonostante gli attuali limiti di questi sistemi [143–145] che al momento ne consigliano un impiego controllato, è prevedibile che la loro evoluzione e progressiva introduzione nei Laboratori di autoimmunità determinerà una significativa riduzione della soggettività interpretativa sia del pattern sia del titolo anticorpale e, di conseguenza, rappresenterà un fattore di promozione per l’armonizzazione della descrizione dei quadri fluoroscopici d’interesse diagnostico e della quantificazione della intensità di fluorescenza.
La presenza di ANA a titolo elevato (≥1:640) dovrebbe far sospettare la presenza di una malattia autoimmune, mentre il rilievo di ANA a basso titolo (1:80), associato a pochi o assenti segni o sintomi clinici, si associa a una più bassa probabilità di MRA [96, 146]. Le manifestazioni cliniche associate a determinati quadri fluoroscopici (e specificità autoanticorpali) sono più frequenti in pazienti con titoli autoanticorpali elevati: la sclerodattilia, il fenomeno di Raynaud e le vasculopatie sono più spesso associate agli anticorpi anti-centromero ad alto titolo e la MCTD è associata a elevati titoli di autoanticorpi anti-U1RNP.
È importante sottolineare che al di là della possibile associazione tra determinati pattern e malattie autoimmuni, la corretta assegnazione del pattern riveste un’elevata utilità pratica per il patologo che, proprio in base al tipo di pattern, orienta la scelta dei test e dei metodi da utilizzare per l’identificazione degli anticorpi anti-antigeni intracellulari specifici [147].
Raccomandazione. Nella refertazione del test ANA eseguito con metodo IFI su cellule HEp - 2 si raccomanda di riportare il risultato qualitativo (presenti o assenti), il titolo (e la diluizione di partenza), il pattern fluoroscopico con descrizione morfologica (omogeneo, granulare ecc.) e un commento. Eventuali positività multiple dovranno essere refertate e descritte separatamente. Il quadro fluoroscopico, anche se solo in alcuni casi riveste importanza diagnostica certa, orienta nella scelta dei test di approfondimento per la ricerca degli autoanticorpi anti - antigeni cellulari specifici. L’impiego di sistemi cosiddetti esperti, nei quali l’interpretazione del pattern avvenga in maniera automatizzata, per il momento deve essere limitato alla distinzione tra campioni positivi e negativi.
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alta
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forte
Sezione 3. Ricerca degli anticorpi anti-antigeni intracellulari specifici (cosiddetti ENA)
3a
Nei pazienti con sospetto clinico di MRA, la ricerca degli anticorpi diretti contro i diversi antigeni intracellulari specifici, cosiddetti ENA, è appropriata solo in caso di positività ANA?
In fase diagnostica iniziale, in pazienti con sintomi sospetti per MRA il test di ingresso è rappresentato dalla determinazione degli ANA in IFI [4, 39, 51, 120, 147]. Quando gli ANA sono presenti a un titolo ≥1:160, il pattern di fluorescenza indirizza la ricerca di autoanticorpi diretti verso uno o più autoantigeni intracellulari specifici (cosiddetti ENA) [121, 147]. Tuttavia, è bene sottolineare che anche se esiste una correlazione tra i pattern IFI e la specificità antigenica riconosciuta dagli autoanticorpi, questa associazione non è assoluta e la specificità antigenica non può essere dedotta dal solo quadro fluoroscopico in IFI [148–150].
È utile ricordare che alcuni autoanticorpi, soprattutto quelli associati alla presenza di alcune MRA, quali la sindrome di Sjögren e la DM/PM, possono non essere rilevati mediante il test ANA-IFI [151–153]. Pertanto, la loro ricerca è appropriata in caso di forte sospetto clinico per MRA anche nel caso che il test ANA sia negativo [4, 35, 39, 154–157]. In particolare, in corso d’inquadramento diagnostico di sindrome di Sjögren, lupus neonatale e lupus cutaneo subacuto dovrebbero sempre essere ricercati con metodo specifico gli anticorpi anti-SSA/Ro e, nel sospetto clinico di DM/PM, gli anticorpi anti-Jo1. Infine, nelle donne gravide a rischio vanno ricercati gli autoanticorpi anti-Ro (Ro52 e/o Ro60) di classe IgG a prescindere dalla positività o meno degli ANA perché, se presenti, possono essere causa di blocco atrio-ventricolare nel neonato. Questa seria complicazione perinatale è stata osservata in circa l’1% delle gravidanze di gestanti anti-Ro positive [158, 159].
Raccomandazione. In presenza di un risultato ANA - IFI positivo, maggiori informazioni diagnostiche sono ottenibili con la caratterizzazione delle specificità anticorpali dirette contro i diversi antigeni intracellulari. Si procede alla determinazione degli anticorpi anti - antigeni intracellulari specifici quando la positività ANA in IFI è uguale o superiore al titolo 1:160. La ricerca degli anticorpi anti - antigeni intracellulari specifici può essere eseguita, anche con ANA assenti o a basso titolo (<1:160), qualora il paziente presenti sintomi clinici o dati di laboratorio suggestivi di malattia autoimmune. In caso di negatività del test ANA in IFI e sospetto clinico di sindrome di Sjögren, lupus neonatale o lupus cutaneo subacuto dovrebbero comunque essere ricercati anticorpi anti - SSA/Ro60 e Ro52. La ricerca degli anticorpi anti - Ro di origine materna, invece, va eseguita a prescindere dalla positività degli ANA come marker prognostico di trasmissione placentare e rischio di blocco cardiaco congenito fetale. In caso di sospetta DM/PM si raccomanda la ricerca degli anticorpi anti - Jo1.
- Qualità globale delle evidenze::
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alta
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forte
3b
Nei pazienti con sospetto di MRA e/o che siano risultati ANA positivi, quali anticorpi diretti contro gli antigeni intracellulari specifici devono essere ricercati in prima istanza, nell’ottica di un percorso efficace sul piano diagnostico e di contenimento nei costi?
La varietà di autoantigeni intracellulari bersaglio degli autoanticorpi è estremamente ampia: nell’ottica di un corretto rapporto costo-beneficio è ragionevole limitare la ricerca agli autoanticorpi ai quali è stata assegnata importanza nella diagnosi clinica, selezionati sulla base delle caratteristiche del pattern fluoroscopico o del sospetto clinico. Tra questi i più comuni sono gli anti-Ro52 e Ro60, anti-La, anti-Sm, anti-RNP o U1RNP, anti-Scl70, anti-Jo1, anti-CENP-B, anti-RNA polimerasi III [3, 160, 161]. Tuttavia, alla positività del test ANA in IFI, anche con pattern fluoroscopici tipici, non sempre corrisponde la positività per uno degli antigeni intracellulari specifici descritti. In queste situazioni e se il sospetto clinico per MRA è concreto si può estendere la ricerca ad autoanticorpi diretti verso antigeni intracellulari specifici di più raro riscontro quali istoni, nucleosomi, PCNA, Ku, Sp100, CENP-A, fibrillarina e Th/To [8, 162–165]. In caso di positività citoplasmatica granulare e/o diffusa sarà inutile e inappropriato procedere alla ricerca, singola o combinata, dei citati autoanticorpi specifici e risulterà invece utile testare per anticorpi AMA-M2 e anti-proteina P ribosomiale. Nel sospetto di miopatie infiammatorie, indipendentemente dall’esito della ricerca degli ANA in IFI, oltre alla determinazione degli anticorpi anti-Jo1, sarà opportuno procedere alla ricerca combinata degli autoanticorpi miosite-specifici o miosite-associati: Mi-2, Ku, altre anti-aminoacil-tRNA sintetasi (PL-7, PL-12, EJ, OJ), SRP e PM-Scl75/100 per contribuire a un corretto inquadramento diagnostico nonché alla definizione del subset clinico [154, 166, 167].
Sono oggi disponibili metodi di line-immunoassay e di dot-blot che comprendono profili anticorpali patologia-orientati o anche pattern IFI-orientati (nucleolare, citoplasmatico) [85, 87–90] e metodi CLIA o FEIA, la cui fase solida è costituita da una miscela di antigeni (cosiddetti CTD screen) che, con un unico test, consentono la rilevazione di più anticorpi [84, 168, 169]. I primi che, se positivi, consentono anche l’immediata individuazione della specificità anticorpale, possono essere utilizzati come test di secondo livello in presenza di chiare indicazioni cliniche; i secondi trovano migliore collocazione come test di secondo livello per lo screening degli antigeni intracellulari specifici. In ogni caso, la migliore strategia nell’utilizzo dei metodi dipende dalle caratteristiche del Laboratorio, dalla prevalenza di MRA nella popolazione di pazienti afferenti, dalla probabilità pre-test che il paziente sia affetto da una determinata MRA [170, 171].
I risultati negativi dei test per la ricerca di anticorpi anti-antigeni intracellulari specifici possono essere utili per escludere alcune ipotesi diagnostiche e le singole specificità antigeniche ricercate devono sempre essere riportate nel referto.
Per la popolazione pediatrica non sono al momento disponibili dati che suggeriscano la necessità di utilizzare algoritmi diagnostici diversi da quelli degli adulti.
Raccomandazione. La varietà di autoantigeni riconosciuti dagli ANA è estremamente ampia. Pertanto, sia per migliorare l’utilità clinica del risultato sia per un corretto rapporto costo/beneficio è opportuno limitare la ricerca agli autoanticorpi compatibili con il quadro fluoroscopico osservato nel test ANA, nell’ambito di quelli caratterizzati da importanza diagnostica certa o individuati come criteri di classificazione delle connettiviti autoimmuni (anti - SSA/Ro60 e Ro52 e, anti - SSB/La, anti - Sm, anti - U1RNP, anti - Scl70, anti - Jo1, anti - RNA polimerasi III).
La ricerca delle specificità anticorpali dirette contro diversi antigeni intracellulari di riscontro meno frequente viene raccomandata solo:
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in caso di positività del test ANA in IFI con pattern nucleare tipico; in questo caso la ricerca può essere estesa ad anticorpi anti - istoni, nucleosomi, PCNA, Ku, Sp100, CENP - A e fibrillarina;
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in caso di positività citoplasmatica granulare e/o diffusa risulterà utile testare per AMA - M2 e anticorpi anti - proteina P ribosomiale;
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in caso di sospetta miopatia infiammatoria è utile per un corretto inquadramento diagnostico e per definire l’appartenenza a un subset clinico di malattia la ricerca di autoanticorpi diretti verso le seguenti specificità antigeniche: Mi - 2, Ku, anti - aminoacil - tRNA sintetasi (PL - 7, PL - 12, EJ, OJ ecc.), SRP, PM - Scl75/100.
I risultati dei test per la ricerca di anticorpi anti - antigeni intracellulari specifici devono essere refertati separatamente, anche se negativi, descrivendo nel referto le specificità presenti nel saggio. Per la popolazione pediatrica si consiglia di seguire le stesse indicazioni suggerite per la popolazione adulta, non esistendo al momento evidenze che ne contrastino o ne supportino l’efficacia.
- Qualità globale delle evidenze::
-
moderata
- Forza della raccomandazione::
-
forte
3c
Al fine di perseguire l’appropriatezza nella fase prescrittiva è vantaggioso utilizzare la metodologia di richiesta definita “ANA-reflex”?
Nella logica di promuovere l’appropriatezza prescrittiva di esami ad alto rischio di inappropriatezza, tra cui quelli relativi alla diagnostica autoimmune, e per evitare agli assistiti il disagio di dover ritornare in Laboratorio e dal medico per eventuali esami d’approfondimento, si sta affermando in diverse realtà sanitarie regionali la metodologia di richiesta definita “reflex test” che prevede:
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richiesta dettata da sospetto diagnostico e corredata di segni e/o sintomi clinici;
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esecuzione di esami in successione logica con definizione di un algoritmo diagnostico ragionato e basato su linee guida ed evidenze disponibili [172].
In realtà, nella diagnostica autoimmune e in particolare nella ricerca degli ANA nel percorso diagnostico per le MRA si utilizzano già da tempo algoritmi a cascata [121, 147, 173].
La richiesta di ANA-reflex comporta, quindi, l’esecuzione della ricerca degli ANA in prima battuta e di eventuali altri esami di approfondimento, quali anticorpi anti-dsDNA e anti-antigeni intracellulari specifici, in relazione al risultato del test ANA, al titolo e pattern fluoroscopico e alle notizie cliniche [39, 174]. In caso di sospetto clinico di MRA e test ANA positivo, la selezione dei test di approfondimento dovrebbe essere effettuata sulla base delle associazioni riportate nella Tabella 4. Pattern di tipo few nuclear dots, nucleolare a basso titolo, fuso mitotico, midbody, CENP-F, simil-lisosomiale, Golgi e citoscheletro non necessitano di approfondimento con test di secondo livello [172]. In presenza di un pattern suggestivo per anti-DFS70 dovrebbe essere eseguito un test di conferma per tale marcatore ed escludere la presenza di altri marcatori associati a MRA [129, 175].
Anche in caso di risultato ANA negativo o positivo a basso titolo è possibile attivare test di secondo livello qualora vengano descritti nella prescrizione segni e sintomi fortemente indicativi di una definita MRA.
I pattern fluoroscopici ANA suggestivi per la presenza di marcatori associati a epatopatie autoimmuni dovrebbero essere confermati da test antigene-specifici (Sp100, AMA-M2 ecc.). Il referto del test ANA-reflex deve essere accompagnato da un commento in grado di illustrare l’iter diagnostico ed eventualmente il significato dei test di approfondimento eseguiti. È importante sottolineare che gli esami di approfondimento, selezionabili in alcuni contesti anche in modo automatico dal sistema informatico del Laboratorio, nella modalità reflex test non necessitano di nuove richieste del medico, di ulteriori raccolte di campioni di sangue e non provocano allungamento dei tempi di risposta [176].
Raccomandazione. Nel sospetto di MRA, la metodologia di richiesta di tipo reflex (ANA - reflex) può essere praticata efficacemente per i pazienti ambulatoriali, sempre che la stessa sia corredata da informazioni cliniche e che siano definite le indagini di secondo livello da associare ai diversi quadri fluoroscopici del test ANA positivo.
- Qualità globale delle evidenze::
-
bassa
- Forza della raccomandazione::
-
debole
3d
Quali tecniche di laboratorio possono essere utilizzate per ricercare gli autoanticorpi anti-antigeni intracellulari specifici con accuratezza diagnostica e analitica adeguate?
I metodi di laboratorio oggi disponibili e abitualmente impiegati sono: ELISA, WB, IB, FEIA, CLIA, MBA, ALBIA, LIA, micro-array. Allo stato attuale non esiste un metodo in grado di soddisfare da solo i migliori requisiti di sensibilità e specificità clinica, precisione analitica, facilità di esecuzione, impiego di tecnologia, reperibilità e costo [170]. In particolare, l’accuratezza diagnostica dipende sia dalle caratteristiche chimico, fisiche e spaziali dei diversi antigeni, sia dalle modalità di preparazione degli stessi, che non sempre garantiscono la corretta riproduzione delle molecole presenti nelle cellule intatte. Inoltre, anche i diversi tipi di supporto a cui sono adesi gli antigeni sono in grado di condizionare la corretta esposizione epitopica e di conseguenza la reattività [58, 177–181]. Pertanto, un corretto iter diagnostico per la ricerca degli anticorpi anti-antigeni intracellulari specifici deve avvalersi di più approcci metodologici da utilizzarsi anche in combinazione, la cui scelta dipende dalle indicazioni cliniche e dal pattern di fluorescenza riscontrato nel test ANA. Per i motivi esposti, la metodologia analitica impiegata va sempre specificata nel referto.
Raccomandazione. I metodi di laboratorio attualmente disponibili per la ricerca nel siero degli autoanticorpi diretti nei confronti di antigeni intracellulari specifici sono numerosi e caratterizzati da performance analitiche e diagnostiche variabili da metodo a metodo e per singola specificità anticorpale nell’ambito dello stesso metodo. Pertanto, è opportuno avvalersi di differenti approcci metodologici. Si raccomanda, inoltre, di riportare nel referto il metodo o i metodi utilizzati.
- Qualità globale delle evidenze::
-
moderata
- Forza della raccomandazione::
-
forte
3e
Nei pazienti con diagnosi di MRA, la misura della concentrazione degli autoanticorpi diretti verso antigeni intracellulari specifici fornisce informazioni aggiuntive per il monitoraggio o la prognosi della malattia ed è utile la ripetizione di questi test durante il decorso clinico della malattia?
La concentrazione degli autoanticorpi diretti nei confronti di antigeni intracellulari specifici non ha correlazione certa nelle MRA né con la diagnosi, il decorso e la prognosi della malattia, né con la valutazione dell’efficacia della terapia, con l’unica eccezione della connettivite mista, nella quale un alto titolo degli autoanticorpi anti-U1RNP rappresenta il principale criterio diagnostico della sindrome. La concentrazione sierica degli anticorpi anti-antigeni intracellulari specifici tende infatti a fluttuare nel tempo in maniera non correlata all’andamento clinico [182]. Gli autoanticorpi diretti nei confronti di antigeni intracellulari specifici sono generalmente già presenti al momento della diagnosi, per cui non è giustificata la ripetizione in assenza di una variazione del quadro clinico [39].
Raccomandazione. La determinazione quantitativa degli autoanticorpi diretti nei confronti di antigeni intracellulari specifici non è utile per la diagnosi, il monitoraggio, la prognosi della malattia, né per valutare l’efficacia della terapia, con l’unica eccezione della MCTD, nella quale la presenza di elevate concentrazioni di autoanticorpi anti - U1RNP rappresenta il principale criterio diagnostico. Non è raccomandata la ripetizione del test se non intervengono variazioni di rilievo del quadro clinico.
- Qualità globale delle evidenze::
-
moderata
- Forza della raccomandazione::
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forte
Sezione 4. Determinazione degli autoanticorpi anti-dsDNA: appropriatezza della richiesta e scelta della metodologia analitica
4a
Nei soggetti sospetti di essere affetti da MRA, quando è appropriata la richiesta di determinazione degli autoanticorpi anti-dsDNA?
L’esistenza di autoanticorpi anti-DNA in pazienti con LES è nota fin dagli anni Cinquanta. Ben presto è risultato evidente che la molecola di DNA presentava numerosi epitopi e che di conseguenza gli anticorpi anti-DNA comprendevano un gruppo eterogeneo di immunoglobuline con differenti specificità. Gli anticorpi identificati più comunemente sono quelli diretti verso il DNA a singola elica (ssDNA), i cui determinanti antigenici sembrano essere localizzati nelle sequenze basiche puriniche e pirimidiniche e in particolare in zone ricche di G-C e A-T; gli anticorpi rivolti verso il DNA nativo a doppia elica (dsDNA), invece, riconoscono epitopi localizzati lungo lo scheletro desossiribosio-fosfato. A fronte di una notevole aspecificità degli anticorpi anti-ssDNA, gli anticorpi anti-dsDNA sono specifici (95%) per il LES e presenti nei soggetti affetti con prevalenza variabile tra 40% e 80%, così da costituire uno dei criteri classificativi del LES definiti dall’ACR [12, 183]. Gli autoanticorpi anti-dsDNA sono i principali responsabili del quadro fluoroscopico nucleare omogeneo in IFI, ma possono essere presenti anche con un quadro nucleare granulare o citoplasmatico, in quanto spesso associati alla presenza di altre specificità autoanticorpali.
In rari casi (<1%), pur in presenza di anticorpi anti-dsDNA, il test ANA può risultare negativo. Pertanto, quando vi sia un forte sospetto clinico di LES è utile eseguire la ricerca di anticorpi anti-dsDNA anche se il test ANA di screening è negativo.
Raccomandazione. La determinazione degli autoanticorpi anti - dsDNA è raccomandata in presenza di sintomi riferibili a LES e in caso di positività degli ANA a un titolo uguale o superiore a 1:160, in particolar modo quando sia presente un quadro omogeneo di fluorescenza nucleare. Benché sia rara la presenza degli anticorpi anti - dsDNA in caso di negatività degli ANA, si raccomanda comunque la determinazione degli autoanticorpi anti - dsDNA qualora sussista un forte sospetto clinico di LES.
- Qualità globale delle evidenze::
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alta
- Forza della raccomandazione::
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forte
4b
Tenendo conto dell’accuratezza diagnostica delle varie metodologie analitiche, la determinazione degli anticorpi anti-dsDNA può essere eseguita con tecniche immunometriche (ELISA, CLIA, FEIA, ecc.) al posto dei metodi CLIFT e radioimmunometrici?
L’utilità diagnostica e prognostica del dosaggio degli autoanticorpi anti-dsDNA ha portato allo sviluppo di numerose tecniche per la loro determinazione: tra queste le più comunemente utilizzate sono l’IFI su Crithidia luciliae (CLIFT) e vari immunodosaggi (CLIA, FEIA, ELISA ecc.). La tecnica di Farr che per anni ha rappresentato il metodo di elezione ha tuttavia lo svantaggio di utilizzare isotopi radioattivi e la necessità di disporre di ambienti dedicati all’esecuzione del test e allo smaltimento dei reattivi. Questa esigenza, insieme al miglioramento delle tecniche alternative, ha progressivamente limitato l’applicazione di questo metodo nei Laboratori clinici [184–188]. La patogenicità degli anticorpi anti-dsDNA è legata alla maturazione dell’affinità anticorpale, all’isotipo IgG o al rapporto IgG/IgM, all’attivazione del complemento e alla cross-reattività con componenti della membrana basale glomerulare [189, 190]. L’utilità clinica dei test per la ricerca degli anticorpi anti-dsDNA dipende dalla loro capacità di rilevare autoanticorpi patogenetici e di misurarli con un approccio quantitativo standardizzato [191, 192]. Il CLIFT è un metodo altamente specifico ma non molto sensibile, in grado di evidenziare anticorpi ad avidità alta e intermedia, che permette l’individuazione delle varie classi anticorpali, ma non consente una determinazione quantitativa accurata [193, 194]. Le tecniche immunometriche (CLIA, FEIA, ELISA ecc.) sono sensibili, in grado di evidenziare le diverse classi immunoglobuliniche, quantitative, automatizzabili e non operatore dipendente [195]. Per anni il limite delle metodologie immunometriche è consistito nell’evidenza che potevano rilevare anche anticorpi a bassa avidità di incerto valore clinico [196–198]. L’attuale disponibilità di nuove preparazioni antigeniche (ricombinanti, estrattivi altamente purificati, plasmidi circolari e oligonucleotidi sintetici) e altri accorgimenti metodologici ha portato alla produzione di una nuova generazione di test immunometrici capaci di rilevare solo autoanticorpi ad avidità intermedia e alta [199]. Pertanto, i metodi immunometrici in fase solida di ultima generazione per la ricerca degli autoanticorpi anti-dsDNA risultano essere oggi molto più accurati dei metodi utilizzati in precedenza [188, 195, 200]. Tuttavia, la loro specificità diagnostica è ancora inferiore a quella del metodo CLIFT, per cui è opportuno che i risultati positivi ottenuti con metodi immunometrici siano confermati con il CLIFT. In caso di risultato negativo del CLIFT, il dato discrepante dovrà essere segnalato nel referto e il paziente andrà monitorato nel tempo. Qualora alla negatività del CLIFT si associno la negatività degli ANA e un contesto clinico non suggestivo di LES, è probabile che il dato di positività ottenuto con il metodo immunometrico sia aspecifico.
Raccomandazione. Per la diagnosi di LES si raccomanda che la ricerca degli autoanticorpi anti - dsDNA venga eseguita con metodi immunometrici (CLIA, FEIA, ELISA ecc.), riportando i risultati in modo quantitativo. Per la sua elevata specificità la ricerca in IFI su Crithidia luciliae (CLIFT) dovrebbe essere utilizzata come test di conferma per i campioni risultati positivi con i suddetti immunodosaggi alla diluizione iniziale del siero di 1:10. Qualora il CLIFT risulti negativo e vi sia una concomitante negatività degli ANA e/o la clinica non sia suggestiva per LES, è probabile che la positività ottenuta con il metodo immunometrico sia aspecifica e ciò va segnalato come commento nella risposta.
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4c
Nei soggetti affetti da LES, la determinazione quantitativa degli anticorpi anti-dsDNA è utile nel monitoraggio del decorso clinico?
Gli autoanticorpi anti-dsDNA, oltre a essere considerati marcatori specifici per il LES [24], sono generalmente correlati all’attività di malattia e al danno di tessuti/organi, in particolare all’interessamento renale [190, 201]. Nei pazienti con LES, il ruolo predittivo degli anticorpi anti-dsDNA per le recidive e l’efficacia degli approcci terapeutici è stato ampiamente dimostrato [202–205]. Dal momento che la concentrazione degli anticorpi anti-dsDNA correla, almeno in molti casi, con l’andamento clinico del LES e della nefrite lupica, la loro determinazione quantitativa è utile per il monitoraggio della terapia. L’intervallo di tempo fra due determinazioni successive è variabile e dipende dalla fase di malattia (riaccensione, mantenimento o modifiche del trattamento) e tiene conto dell’evidenza che l’incremento degli anticorpi anti-dsDNA può precedere l’esacerbazione della nefropatia lupica [206]. Nella fase di monitoraggio, la determinazione quantitativa degli anticorpi anti-dsDNA deve essere eseguita esclusivamente con metodologie immunometriche (CLIA, FEIA, ELISA, RIA) e i risultati devono essere espressi in UI/ml (WHO/ISP Wo/80). Dal momento che, pur impiegando metodi calibrati sullo standard internazionale di riferimento, esiste una discreta variabilità nei risultati ottenuti con metodi diversi, è importante che i controlli nel tempo delle concentrazioni sieriche degli autoanticorpi anti-dsDNA siano effettuati sempre presso lo stesso Laboratorio e con lo stesso metodo analitico.
Raccomandazione. Nella fase di monitoraggio si raccomanda la determinazione quantitativa degli anticorpi anti - dsDNA mediante metodi immunometrici (CLIA, FEIA, ELISA, RIA) con risultati espressi in UI/ml (WHO/ISP Wo/80). L’intervallo di tempo tra le determinazioni varia nelle diverse forme di malattia e deve tenere conto dell’evidenza che l’incremento degli anticorpi anti - dsDNA può precedere l’esacerbazione della nefropatia lupica. Per una migliore riproducibilità dei risultati si raccomanda di effettuare i dosaggi sempre con lo stesso metodo analitico.
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alta
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Conflitti di interesse
Nessuno.
Studi condotti su esseri umani e animali
Per questo tipo di studio non è richiesto l’inserimento di alcuna dichiarazione relativa agli studi effettuati su esseri umani e animali.
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Per il Gruppo di Studio in Autoimmunologia della Società Italiana di Patologia Clinica e Medicina di Laboratorio
Appendice
Appendice
Hanno collaborato alla realizzazione di questo documento, partecipando alla consensus conference tenutasi a Padova nei giorni 13 e 14 febbraio 2015, i seguenti componenti del Gruppo di Studio in Autoimmunologia della Società Italiana di Patologia Clinica e Medicina di Laboratorio:
Gaetano Amato, UO Patologia Clinica, PO Civico e Benfratelli, ARNAS, Palermo, Italia; Giuseppina Barberio, Medicina di Laboratorio, Dipartimento di Patologia Clinica, ULSS 9, Treviso, Italia; Ignazio Brusca, Laboratorio Analisi, Ospedale Buccheri La Ferla, Palermo, Italia; Massimo Daves e Stefan Platzgummer, Laboratorio Centrale, Ospedale “Franz Tappeiner”, Merano, Italia; Martina Fabris, Istituto di Patologia Clinica, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Udine, Italia; Elia Girolami, Laboratorio di Autoimmunità, Dipartimento di Oncoematologia Pediatrica e Medicina Trasfusionale, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma, Italia; Tiziana Imbastaro, UOS Diagnostica di Laboratorio delle Malattie Autoimmuni, PO Spirito Santo, Pescara, Italia; Maria Infantino, Laboratorio di Immunologia e Allergologia, Ospedale S. Giovanni di Dio, Firenze, Italia; Maura Musso, Laboratorio Analisi, Azienda Ospedaliera S. Croce, Cuneo, Italia; Maria Concetta Sorrentino, Laboratorio Analisi Chimico Cliniche e Microbiologiche, ISMETT, Palermo, Italia.
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Cinquanta, L., Bizzaro, N., Villalta, D. et al. Linee guida per l’utilizzo dei test autoanticorpali nella diagnosi e nel monitoraggio delle malattie autoimmuni reumatiche sistemiche. Revisione 2015. Riv Ital Med Lab 11, 205–224 (2015). https://doi.org/10.1007/s13631-015-0099-x
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