Introduzione

L’obiettivo nei pazienti anziani con fratture articolari complesse dell’omero distale è quello di ripristinare un’articolazione senza dolore, stabile e funzionale, per poter riprendere in tempi brevi le attività quotidiane, mantenendo la propria autonomia. L’opzione non chirurgica con tutore o valva gessata (bag of bones) può essere presa considerazione in pazienti debilitati o non collaboranti con lo scopo di arrivare a consolidazioni viziose tollerabili, ma con gravi limitazioni funzionali [1]. Spesso la scarsa qualità ossea, tipica dell’età avanzata, determina da un lato fratture più comminute e, dall’altro, difficoltà maggiore per ottenere una buona stabilità della sintesi (ORIF). Ciò comporta un maggior rischio di complicanze e, in particolare, di mobilizzazione dei mezzi di sintesi e di pseudoartrosi. Nel 1997 Cobb e Morrey presentarono, come alternativa alla ORIF in pazienti anziani, la protesi totale di gomito (PTG) [2].

Da allora numerose sono state le esperienze riportate in letteratura con l’uso delle PTG e alcune di queste hanno messo a confronto i risultati ottenuti con quelli di una popolazione simile sottoposta a tecnica ORIF con risultati soggettivi e funzionali superiori con la sostituzione protesica [3,4,5].

Per questo tipo di fratture, successivamente, è stata proposta anche l’emiartroplastica di gomito (EMI), con applicazione della sola componente omerale [6].

Scopo di questo lavoro è di riportare la nostra esperienza con l’uso di PTG e EMI e di riportare l’algoritmo, attualmente più seguito, per il trattamento di fratture dell’omero distale acute e negli esiti di fallimento dell’ORIF (instabilità o pseudoartrosi).

Indicazioni e controindicazioni

Come per altri distretti articolari, il successo della metodica della sostituzione protesica dipende dal rispetto della corretta indicazione. La sostituzione protesica è indicata in un ristretto numero di pazienti anziani con fratture fresche dell’epifisi distale d’omero (Fig. 1), in mancate/viziose consolidazioni, soprattutto se con precedenti danni articolari, e in esiti di instabilità complesse cronicizzate poiché non riconosciute o insufficientemente trattate.

Fig. 1
figure 1

Algoritmo per la scelta del trattamento chirurgico nelle fratture dell’epifisi distale dell’omero

In particolare, si elencano indicazioni e controindicazioni:

  • indicazioni [3]:

    • fratture non ricostruibili (tipo C2–C3, ma anche B3, della classificazione AO)

    • frattura associata a grave osteoporosi

    • frattura associata ad artrosi o AR

    • età superiore a 70 anni

    • basse richieste funzionali

  • controindicazioni:

    • infezione

    • esposizione o danni importanti alle parti molli

    • paziente con alte richieste funzionali, non compliante o con demenza senile

    • artropatia neurogena.

Materiali e metodi

Nell’Unità di Chirurgia Spalla e Gomito dell’Istituto Ortopedico Rizzoli, dal 2001 al 2016, abbiamo trattato con sostituzione protesica 22 fratture fresche dell’omero distale, di cui 9 con protesi totali e 13 con emiartroplastiche, e 32 pazienti con postumi di frattura (pseudoartrosi, instabilità ricorrente o persistente) trattati in 30 casi con protesi totali e in 2 casi con emiartroplastica.

Di questi 54 pazienti, 36 sono di sesso femminile (67%) e 19 di sesso maschile (33%) con età compresa tra 68 e 84 anni (età media: 78,4 anni).

Dei 54 pazienti operati nella nostra Unità, 4 sono deceduti e 1 è stato perso al follow-up, mentre 49 pazienti sono stati rivalutati a un follow-up medio di 5,2 anni (min. 1 anno, max. 10 anni). Tutti i pazienti sono stati sottoposti a valutazione clinica, con misurazione dell’arco di movimento e del dolore, e a valutazione radiografica con proiezioni AP e LL per valutare la stabilità e l’integrazione dell’impianto protesico all’osso. Inoltre, tutti i pazienti sono stati valutati con la scheda a punti del Mayo Elbow Performance Score (MEPS).

Tecnica chirurgica

Posizionamento

Può essere supino o laterale. Nella nostra Unità preferiamo un decubito supino, con arto in appoggio su un cuscino posto al di sopra del torace, controllando che non interferisca con le funzioni respiratorie del paziente.

Incisione cutanea e via d’accesso

Durante gli interventi al gomito viene normalmente utilizzato il tourniquet, per un tempo massimo di 90 minuti, sterile e monouso (disponibile sul mercato ditta Stryker o Zimmer) per ampliare il campo e assicurare maggiori garanzie di sterilità.

L’incisione cutanea utilizzata per le protesi di gomito è quella posteriore, della lunghezza di circa 15 cm.

Il nervo ulnare deve essere identificato e isolato fino alla prima branca motoria del flessore ulnare del carpo e, durante tutto l’intervento, deve essere protetto (utile un vaseloop di grande dimensioni), evitando eccessive trazioni durante le manovre necessarie a eseguire l’impianto. Anche se non esiste un unanime accordo sulla sua gestione a termine dell’intervento, riteniamo prudente eseguire l’anteposizione cutanea a fine intervento.

La via d’accesso più utilizzata è quella che prevede la conservazione dell’inserzione del tricipite (triceps conserving), con incisione dell’apparato estensore per via paratricipitale mediale e laterale. Di recente è stata eseguita anche la via paraolecranica laterale esponendo l’articolazione con uno split del tricipite tra parte centrale e parte laterale, divaricando all’esterno il ventre del vasto e dell’anconeo, ed eseguendo un release dei flessopronatori medialmente. In tal modo, l’ulna con la parte centrale del tricipite viene spostata medialmente e l’epifisi distale o i suoi frammenti di frattura si espongono nella zona laterale. Questa via permette, rispetto alla triceps conserving, di avere una visione maggiore della componente ulnare e, quindi, di lavorare con più facilità durante questa fase.

TIPS: le vie d’accesso che conservano l’inserzione tricipitale a livello dell’olecrano mantengono la continuità dell’apparato estensore del gomito e, proprio per questo motivo, ci permettono una riabilitazione più precoce e completa fin dalle fasi iniziali nel postoperatorio, rispetto alle vie d’accesso che distaccano l’inserzione del tricipite.

In caso di impianto di EMI. le vie d’accesso utilizzate possono essere l’osteotomia olecranica a chevron o la tricipes reflecting anconeus pedicle (TRAP), che prevedono la conservazione dei collaterali, fondamentali per la scelta di questo tipo di impianto, e che permettono di valutare al meglio la superficie articolare della troclea e del capitulum, al fine di decidere il trattamento chirurgico ottimale (EMI vs ORIF). In alcuni selezionati casi, anche la via triceps conserving può essere presa in considerazione (nella nostra esperienza quando le frattura dell’epicondilo e/o epitroclea sono di piccole dimensioni e non richiedono la sintesi con lunghe placche preconformate).

Preparazione omerale

Dopo aver rimosso con cura tutti i frammenti di frattura, in base alle caratteristiche della stessa, si regolarizza la regione metafisaria con guida o a mano libera, prendendo come repere per la lunghezza dell’impianto la parte più prossimale della fossetta della coronoide e di quella olecranica. Soprattutto nella EMI è importante rispettare la giusta lunghezza dell’omero per ripristinare il corretto centro di rotazione e permettere una buona funzionalità legamentosa. Successivamente si eseguirà l’alesatura del canale omerale con l’utilizzo di raspe progressive, fino al raggiungimento del giusto contatto con le corticali interne.

TRICKS: Nelle protesi su frattura, la difficoltà maggiore risulta essere la ricerca di punti di repere per il corretto alloggiamento dell’impianto omerale, a causa delle diverse rime di frattura.

TIPS: Per determinare la giusta profondità di inserzione e la corretta rotazione della componente omerale è necessario allineare l’asse trasverso dell’estremità protesica con il centro di rotazione originale (punto di inserzione del legamento collaterale mediale e del legamento collaterale laterale) previa riduzione dei frammenti delle due colonne e tenendo ben presente che la base della flangia anteriore deve coincidere con l’apice della fossa della coronoide. La misura della componente omerale viene invece determinata confrontando la congruenza delle diverse componenti di prova con la fossa sigmoidea ulnare e con il capitello radiale con prove in flesso estensione. Inoltre, per la scelta della taglia, una volta inserita la componente di prova prescelta può essere utile un controllo in scopia.

Preparazione ulnare

Nell’impianto di PTG si procederà alla preparazione della componente ulnare: con l’utilizzo di uno strumento motorizzato ad alta velocità si andrà ad aprire la base della coronoide, verso il lato radiale, in modo da rimanere in linea con l’asse della diafisi ulnare, per centrare il canale endomidollare. A questo seguirà l’alesatura del canale endomidollare ulnare e l’impianto dello stelo di prova. Il centro di rotazione della componente ulnare deve coincidere con il centro della fossa sigmoidea dell’ulna.

TIPS: Per raggiungere più facilmente il canale endomidollare, si deve rimuovere con una Luer buona parte dell’apice dell’olecrano.

Cementazione e impianto delle componenti definitive

Le componenti protesiche vanno cementate preferendo l’uso di cemento antibiotato, considerando il più alto rischio di infezione rispetto alle altre articolazioni maggiori. Il primo passaggio prevede l’inserzione, sia nel canale omerale che in quello ulnare, di tappo endomidollare dal corretto fit, per ottenere una buona distribuzione del cemento all’inserzione della protesi e prevenire una diffusione del cemento nel canale endomidollare. A questo punto si procede alla cementazione, solitamente in unico tempo, prima del canale omerale e poi del canale ulnare, con successivo inserimento delle componenti protesiche definitive: prima la componente ulnare e poi la componente omerale. Una volta ridotto l’impianto, è bene eseguire alcune volte movimenti di flesso-estensione per migliorare i rapporti interprotesici delle due componenti; infine, si eserciterà una leggera pressione a gomito esteso, mentre il cemento fa presa. A questo punto è importante ricordare l’importanza dell’apposizione dell’innesto osseo autologo, ricavato dai frammenti asportati, a livello della flangia anteriore. Questo gesto serve ad aumentare la stabilità della protesi omerale, confidando a lungo termine su un ulteriore contatto osso-protesi, con possibilità di assorbire meglio gli stress rotazionali che dall’articolazione si trasmettono all’omero.

Sintesi della colonna omerale mediale e/o laterale ed eventuale riparazione/ricostruzione legamentosa collaterale

Tale passaggio è sempre richiesto nell’EMI [7] e, più raramente, nella PTG. Una volta inserita la componente omerale definitiva, è importante ricostruire anatomicamente le colonne, utilizzando placche preconformate per l’omero distale, in modo da mantenere la giusta tensione e stabilità dei legamenti collaterali (Fig. 2).

Fig. 2
figure 2figure 2

A: Frattura tipo C3 dell’omero distale sec. la classificazione AO in Paziente maschio di 62 anni. B: Particolare intraoperatorio nella fase finaled ell’intervento, dopo l’applicazione della protesi omerale e la sintesi delle colonne (laterale e mediale). Sono visibili da sinistra a destra: nervo ulnare anteposto, placca mediale, apparato estensore in situ (tricipite ed anconeo), placca laterale. Con il riposizionamento delle colonne l’apparato legamentoso mediale e laterale viene ritensionato. C: Controllo radiografico a 4 anni di fu. La Protesi è stabile e ben congruente con le superfici radio ulnari. nella proiezione laterale presenza di oss eterotopica all’apice olecranico e innesto osseo integrato a livello della flangia anteriore. D: Controllo clinico a 4 anni di fu con ROM 30–120 in flesso estensione e prono supinazione quasi completa. MEPS: 95 p

A fine intervento si procede quindi con accurata anteposizione del nervo ulnare, sutura delle parti molli e della cute. Segue l’applicazione di un drenaggio aspirante e la confezione di una valva in posizione anteriore a \(30^{\circ}\) di estensione per ridurre la tensione cutanea sulla cicatrice chirurgica e il rischio della formazione di ematomi anteriori.

TIPS: Valutare sempre la stabilità in varo e valgo, prima di terminare l’intervento chirurgico. Previo consulto con il collega anestesista, in questa fase si può utilizzare 1 g di acido tranexanico per via endovenosa, allo scopo di ridurre il sanguinamento postoperatorio.

Decorso post operatorio

Nel decorso postoperatorio il paziente utilizzerà la valva in estensione per 3–4 giorni, con arto in scarico, per ridurre la tumefazione dell’arto, seguita da una valva di protezione in posizione di riposo a 90 di flessione per 2–3 settimane. La fase riabilitativa inizia già in prima giornata postoperatoria, con movimenti ripetuti auto-assistiti, eseguiti due volte al giorno, in flesso-estensione e prono-supinazione del gomito. Con l’inserzione tricipitale conservata, il paziente potrà iniziare, fin dai primi giorni dopo l’intervento chirurgico, a utilizzare il gomito operato per alimentarsi e per svolgere piccole attività quotidiane da solo. Se durante l’intervento l’apparato estensore è stato distaccato e successivamente riparato, bisognerà proteggere la guarigione del tricipite per le prime settimane, evitando movimenti attivi ed eccessiva flessione del gomito. In caso di EMI sarà, invece, molto importante la protezione del gomito con valva a 90 per 30 giorni, per consentire la guarigione delle strutture capsulo-legamentose e la buona comprensione degli esercizi di mobilizzazione da parte del paziente, al fine di evitare stress in varo e valgo del gomito.

Risultati

Dei 21 pazienti trattati per fratture dell’omero distale acute, 18 pazienti hanno riportato buoni/eccellenti risultati funzionali e tre discreti. La valutazione media secondo la scheda del MEPS è stata di 86 punti (min. 68, max. 95). L’arco di motilità medio risulta essere 130–20 in flesso-estensione e 50–0–60 in prono-supinazione. Tre pazienti su 21 (14%) riferiscono dolenzia saltuaria e altri 3 pazienti su 21 (14%) hanno riferito parestesie al nervo ulnare, che comunque non hanno richiesto alcun intervento chirurgico, con sintomi in buona parte regrediti spontaneamente. Nessuna revisione di impianto protesico e, per quanto riguarda le 13 EMI, nessuna conversione a protesi totale è stata eseguita (Fig. 3).

Fig. 3
figure 3

A: frattura omero distale destro, tipo C2 sec. la classificazione AO, in Pz di 84 a. B: Studio TC che consente una migliore valutazione della frattura ed evidenzia la presenza di artrosi omero ulnare: indicazione elettiva per la scelta della PTG. C: Rx a 8 anni di F.U.: buona evoluzione del quadro radiografico. D: Clinica a 8 anni di FU. La Paziente di 92 a. presenta un ROM attivo: 15–130 in flesso estensione e completo in prono supinazione. MEPS: 90 p

Nel gruppo dei 28 pazienti trattati con impianto di protesi di gomito (EMI o totale) a seguito di esiti di frattura dell’omero distale, i risultati ottenuti sono più scadenti. In 4 pazienti (14%) si sono verificate delle complicanze importanti da richiedere revisione protesica, mentre una paziente (affetta da AR con fistola), ha preferito rimanere in tale stato piuttosto che affrontare la revisione. Due dei 4 pazienti revisionati avevano sviluppato un’infezione periprotesica: un paziente è stato trattato con rimozione della protesi e impianto permanente di spaziatore cementato, tuttora in situ, mentre nell’altro paziente si è provveduto a eseguire un reimpianto protesico dopo bonifica del focolaio di infezione, alla quale è seguita recidiva dell’infezione. In questo paziente è stata quindi eseguita un’artrodesi strumentata con barre endomidollari bloccate tra loro a livello articolare, rivestite da cemento con antibiotico. Un terzo paziente ha mostrato mobilizzazione asettica con instabilità dell’impianto protesico ed è stato revisionato con doppia stecca corticale e protesi a stelo lungo, con buona integrazione degli innesti. Il quarto paziente, con EMI e dolore continuo, è stato sottoposto a intervento di conversione da EMI a PTG, a causa di dolore a riposo per lo sviluppo di una sigmoidite (Fig. 4).

Fig. 4
figure 4

Valutazione della corretta misura e della componente protesica omerale. Da notare la presenza di usura cartilaginea a livello dell’ulna (freccia)

Il valore medio del MEPS di questo gruppo di pazienti, escluse le 4 revisioni, è risultato 79 punti (min. 60, max. 95). L’arco di motilità medio risulta essere \(40^{\circ}\)\(120^{\circ}\) in flesso-estensione e \(40^{\circ}\)\(0^{\circ}\)\(60^{\circ}\) in prono-supinazione. Sei pazienti hanno presentato neuropatia del nervo ulnare, che non ha richiesto alcun intervento chirurgico.

Complicanze

Come tutti gli interventi chirurgici, anche la sostituzione protesica di gomito su frattura non è scevra di rischi. Le complicanze più frequentemente riportate possono essere suddivise in precoci e tardive:

  • complicanze precoci:

    • fratture intraoperatorie

    • infezioni superficiali

    • deiscenza della cicatrice

    • aprassia del nervo ulnare

    • instabilità (EMI)

  • complicanze tardive:

    • infezioni profonde

    • mobilizzazione asettica

    • fratture periprotesiche

    • cedimento del tendine tricipite (nei casi in cui è stato distaccato)

    • ossificazioni eterotopiche.

Delle complicanze da noi riportate meritano di essere segnalate 3 infezioni profonde (6%) di cui 2 revisionate, 9 (18%) casi di sofferenza del nervo ulnare con transitorie ipoparestesie associate a deficit di forza del V dito, senza mai necessità di revisione, un caso (2%) di frattura interprotesica (frattura terzo medio d’omero in paziente portatore di protesi di spalla e gomito) trattata con placca e innesto di corticale, giunta a consolidazione e un caso (2%) di mobilizzazione asettica. Ossificazioni eterotopiche di I–II grado sono state riscontrate nell’8% dei pazienti.

Discussione

L’impianto primario di protesi totale di gomito in caso di frattura complessa fu suggerita da Cobb e Morrey nel 1997 [2]. Nell’ultima review della sua casistica, Morrey [8] ha rivalutato 44 pazienti, operati tra il 1982 e il 2005, con un follow-up di almeno 10 anni. I risultati sono soddisfacenti per quanto riguarda il dolore e la motilità: il valore medio di flesso-estensione è 123–24 e la prono-supinazione 71–0–70, e anche il valore medio del MEPS risulta essere positivo (90,5 punti). Tuttavia, 8 pazienti (18%) sono stati sottoposti a revisione della protesi e 5 (11%) hanno sviluppato un’infezione periprotesica. Frankle e collaboratori [4], in uno studio comparativo, utilizzando una protesi di gomito rispetto all’ORIF nella popolazione anziana hanno ottenuto risultati migliori in termini di riduzione del dolore e della funzionalità.

L’emiartroplastica, nel paziente con frattura articolare complessa under 65 o nel paziente più anziano con maggiori richieste funzionali, può trovare indicazione perché riduce il rischio di fallimento rispetto alle PTG, evitando l’impianto di polietilene e il rischio di mobilizzazione della componente ulnare, e perché riduce le restrizioni funzionali del gomito protesizzato.

I risultati riguardanti la protesi EMI sono incoraggianti: Hughes [9] riporta la sua esperienza con pazienti di età inferiore a 55 anni a un follow-up medio di 6,7 anni (24–133 mesi). I pazienti riferiscono soddisfazione per l’intervento, con una buona qualità di vita: tutti i pazienti riescono a svolgere attività a bassa e moderata richiesta funzionale e il 67% di essi svolge anche attività ad alta richiesta funzionale. Tuttavia, un paziente ha cambiato la propria attività lavorativa (in quanto era un chiropratico) e 2 pazienti hanno modificato la propria attività sportiva (hockey sul ghiaccio e yoga). Il limite di questa scelta di impianto, ottenuto un corretto bilanciamento legamentoso, è la possibilità, come per altre articolazioni maggiori, che col tempo la superficie ossea contrapposta a quella metallica possa creare dolore e peggioramento del risultato.

Itamura [10], che si è posto il quesito della durabilità del risultato, ha rivalutato 10 pazienti sottoposti a EMI con un follow-up a breve e poi a medio termine (follow-up medio di 73,2 mesi), non riscontrando un peggioramento circa il ROM e la funzionalità del gomito.

Dalla nostra casistica, a un follow-up medio di 5,2 anni, si può inoltre evincere che la percentuale di complicazioni è rilevante, con un 10% di complicanze maggiori e 26% di complicanze minori. I risultati a seguito dell’impianto di protesi di gomito su frattura siano decisamente migliori se l’impianto è primario e non successivo a fallimento della sintesi [5]. Mighell e altri [11] hanno esaminato la loro casistica di 28 pazienti (età media 66 anni) in cui è stata utilizzata la protesi totale di gomito negli esiti di sintesi della frattura fallite, segnalando che il 21% di essi (6/28) richiese un secondo intervento di revisione dell’impianto.

La positività del risultato a lungo termine è fortemente influenzata dalla correttezza delle indicazioni e dalla corretta esecuzione del gesto chirurgico. Durante l’impianto delle componenti protesiche è fondamentale la scelta della corretta via di approccio chirurgico. In particolare, riveste una rilevanza preponderante l’apparato estensore: utilizzando vie di accesso che lo rispettano è possibile iniziare una mobilizzazione precoce e evitare le complicanze da insufficienza tricipitale che compromettono fortemente la qualità del risultato funzionale. La tecnica di cementazione deve essere rigorosa in tutti i suoi tempi e il rispetto del nervo ulnare, evitando trazione eccessive durante le manovre chirurgiche, può ridurre il sintomo frequente legato all’aprassia del nervo. È altresì fondamentale una corretta istruzione del paziente alle limitazioni che necessariamente dovrà osservare nel postoperatorio per preservare la sopravvivenza dell’impianto protesico. Il rispetto delle raccomandazioni dei sanitari (in particolare per quanto riguarda il sollevamento di pesi con l’arto protesizzato) influisce in maniera decisiva sul tasso di revisioni per mobilizzazione asettica dell’impianto, portando, nei casi più severi, a quadri di deficit osseo massivo, in cui la revisione risulta di estrema difficoltà tecnica e la prognosi non soddisfacente.

Conclusioni

La perfetta riduzione e sintesi rimane il trattamento di scelta per le fratture dell’omero distale anche nel paziente anziano; tuttavia, la sostituzione protesica può trovare un suo spazio di indicazione nelle fratture articolari più complesse (C2–C3) e in presenza di scarsa qualità ossea o precedente danno articolare, con risultati soddisfacenti a medio o lungo termine. La PTG è la scelta protesica più utilizzata preferendo l’accesso salva-tricipite per preservare l’apparato estensore e iniziare una precoce mobilizzazione. L’impianto EMI si propone come alternativa in pazienti con maggiori richieste funzionali; per il successo è indispensabile la validità dell’apparato legamentoso a cui affidare la stabilità dell’impianto e, pertanto, è spesso necessario associare la sintesi delle colonne o la riparazione legamentosa, mentre un eventuale insuccesso può sempre trovare una via d’uscita con la conversione da EMI a protesi totale. È importante sottolineare come i risultati funzionali delle protesi siano migliori nei casi acuti rispetto agli impianti applicati in esiti di fratture. Sempre rispettare le corrette indicazioni e informare il paziente che si sottopone a protesi di gomito dei vantaggi di questa scelta ma anche dei potenziali rischi di complicanze e di fallimento non sempre di facile soluzione.