Introduzione

Le lussazioni e le instabilità del carpo sono lesioni rare ma che presentano numerose problematiche dal punto di vista terapeutico e prognostico, non ultimo il fatto che spesso restano misconosciute in prima istanza. La complessità anatomo-funzionale del carpo e la sua meccanica non ancora completamente definita lasciano a tutt’oggi molti lati oscuri sulla conoscenza di queste lesioni traumatiche. Ne sono testimonianza le diverse interpretazioni biomeccaniche e anatomiche, le numerose classificazioni e i diversi approcci terapeutici proposti.

Queste lesioni, la cui diagnosi non sempre è agevole, sono la conseguenza di traumi ad alta energia, non di rado esposte o associate a politraumi e a lesioni dell’arto superiore omolaterale. Riguardano spesso pazienti giovani e possono portare a conseguenze disabilitanti.

In questo lavoro vengono analizzati gli aspetti patomeccanici delle diverse lesioni, sottolineata l’importanza di una corretta e tempestiva diagnosi strumentale e fornite, sulla base della personale esperienza, le indicazioni a un corretto approccio terapeutico. Viene in particolare evidenziata la necessità di un trattamento precoce che deve mirare alla riduzione anatomica e alla ricostruzione più accurata possibile delle lesioni, requisiti necessari a garantire soddisfacenti risultati funzionali.

Anatomia e biomeccanica del polso

Le ossa del carpo sono in numero di 8, disposte in ugual numero su due filiere, la prossimale e la distale. L’articolazione della filiera distale con le basi metacarpali è estremamente stabile mentre la filiera prossimale, che oltretutto non presenta inserzioni tendinee, è la porzione più mobile ed è definita come “segmento intercalato”. La mobilità del polso in flesso-estensione e in deviazione radiale e ulnare avviene fra la prima filiera e il radio (articolazione radio-carpica) e fra le due filiere carpali (articolazione medio-carpica). I movimenti fra le ossa delle singole filiere, viceversa, sono praticamente assenti; le superfici contigue presentano una congruenza perfetta, sono di uguale dimensione e sono connesse tra loro da robusti legamenti intrinseci. I legamenti che connettono fra loro le ossa carpali sono indispensabili alla stabilità e alla biomeccanica del carpo; vengono distinti in intrinseci (che originano e si inseriscono sul carpo) e estrinseci (che vanno dalle ossa carpali al radio o ai metacarpi).

I due legamenti intrinseci più importanti sono lo scafo-lunato (S-L) e il luno-piramidale (L-P). Il legamento S-L è un legamento molto robusto tra lo scafoide e il semilunare. Al suo interno si individuano 3 porzioni istologicamente e funzionalmente distinte: una dorsale, molto robusta, costituita da fascicoli collagene orientati trasversalmente e disposti su più strati [1], una prossimale costituita da fibrocartilagine e una palmare, più sottile, di natura fibrosa a decorso obliquo. Il movimento relativo tra le due ossa è molto limitato, ma in flesso-estensione avviene una rotazione reciproca di circa 30° che determina una torsione sagittale del legamento [2].

Il legamento L-P è anch’esso costituito da 3 porzioni, delle quali la più resistente è quella palmare.

Poiché i carichi sono applicati in estensione dorsale, i legamenti estrinseci più importanti sono sul versante palmare. I legamenti palmari ulno-carpali e radio-carpali formano 2 complessi legamentosi a “V” rovesciata, con gli apici a livello del capitato e del semilunare. I 2 legamenti principali sono il radio-scafo-capitato e il radio-lunato lungo. Tra questi 2 legamenti si trova il così detto solco interlegamentoso (o spazio di Poirier) che rappresenta una zona di minore resistenza attraverso la quale spesso avvengono le lussazioni perilunari del carpo.

Il complesso legamentoso dorsale è di scarsa importanza nelle lesioni traumatiche, mentre gioca un ruolo importante nell’instaurarsi delle deformità reumatiche.

Meccanismo traumatico

Nella grande maggioranza dei casi queste lesioni si verificano per un impatto traumatico sulla mano iperestesa, con un meccanismo di tipo tridimensionale, caratterizzato da forze in iperestensione, deviazione ulnare e supinazione intercarpica [3], in genere secondario a un trauma ad alta energia, come una caduta da altezze importanti o un incidente motociclistico. Poiché l’estremità radiale del carpo è relativamente meno mobile di quella ulnare, è più suscettibile ad essere lesa in questo tipo di traumi. L’energia traumatica che sull’estremità ulnare viene assorbita attraverso un’iperestensione della medio-carpica, sulla colonna radiale incontra una resistenza che fa leva sul corpo dello scafoide, avendo come fulcro il margine dorsale del radio.

In questo modo, tre strutture possono cedere: l’estremità distale del radio, le strutture legamentose del polo prossimale dello scafoide e lo scafoide stesso che si frattura al livello centrale del corpo.

Se il vettore delle forze risultante è soprattutto in estensione, si determina la frattura dello scafoide sopra descritta. Qualora, invece, il vettore sia soprattutto in deviazione ulnare e supinazione intercarpica si verifica la rottura dei legamenti con successiva lussazione delle ossa del carpo.

Mayfield e collaboratori [4] hanno effettuato vari studi su preparati anatomici, dimostrando come la maggior parte delle lussazioni del carpo sono la conseguenza di una serie di eventi meccanici patologici che avvengono intorno al semilunare e che danno luogo a una “progressiva instabilità perilunare del carpo”.

Nel I stadio la filiera distale del carpo viene iperestesa, trasmettendo il momento di forza in iperestensione allo scafoide e al semilunare. I legamenti radio-lunati mantengono però il semilunare in sede e, di conseguenza, si crea la lesione del legamento scafo-lunato, responsabile di una dissociazione scafo-lunata. Se lo stesso processo avviene con il polso deviato radialmente, il semilunare e il polo prossimale dello scafoide sono saldamente mantenuti in sede dal legamento radio-scafo-capitato e, di conseguenza, può avvenire la frattura dello scafoide.

Nel II stadio, continuando l’iperestensione del polso, avviene la lussazione dorsale della filiera distale del carpo rispetto al semilunare o, in alternativa, la frattura del capitato. In entrambi i casi si può associare la lesione della capsula palmare a livello dello spazio di Poirier.

Nel III stadio lo stress tensivo a livello del complesso legamentoso tra capitato, uncinato e piramidale porta alla rottura dei legamenti luno-piramidali e, quindi, alla separazione delle 2 ossa, oppure alla frattura sagittale del piramidale.

Nel IV stadio il capitato esercita una pressione dorsale sul semilunare che provoca la sua lussazione anteriore.

I fattori che determinano il verificarsi dei diversi tipi di lesione, da quella puramente legamentosa alla semplice frattura sino ad arrivare alle lesioni più complesse con fratture-lussazioni multiple sono diversi: l’età del paziente e la differente densità ossea, la diversità in direzione e ampiezza delle forze deformanti, la differente posizione del polso al momento dell’impatto.

L’instabilità del polso può essere di tipo predinamico, in cui l’instabilità, conseguenza di lesioni legamentose parziali, non si manifesta con un difetto di allineamento anche se sottoponiamo a stress il carpo, dinamico, in cui la rottura dei legamenti è completa ma determina una sublussazione articolare solo in condizioni di stress meccanico, e statico, in cui la rottura dei legamenti determina un’alterazione permanente dei rapporti articolari.

Le instabilità carpali si distinguono, inoltre, fra di loro sulla base del diverso interessamento delle singole filiere del carpo. Quando l’instabilità si instaura (a causa di una frattura o di una lesione legamentosa) tra le ossa di una stessa filiera carpale, si definisce come instabilità dissociativa (carpal instability dissociative, CID). Le CID possono essere il risultato di diverse condizioni quali la dissociazione scafo-lunata (SL), la più rara dissocazione luno-piramidale (LP), le fratture instabili e le pseudoartrosi dello scafoide.

Al contrario, se l’instabilità si verifica tra il radio e la prima filiera o tra le diverse filiere del carpo in assenza di lesioni ossee o tra le ossa nel contesto della stessa filiera, questa viene classificata come instabilità non dissociativa (carpal instability non dissociative, CIND). La CIND radio-carpale determina la traslocazione radiale o ulnare del carpo; la prima è, in genere, conseguenza di difetti di consolidazione del radio distale, mentre la seconda può riconoscere diverse eziologie quali le lussazioni traumatiche pure, il Madelung, l’artrite reumatoide, l’eccessiva resezione del caput ulnae.

Quando vi è la contemporanea presenza di instabilità dissociativa e non, l’instabilità viene definita complessa (carpal instability complex, CIC). Fanno parte di questo gruppo le lussazioni (lesser arc injuries) e le fratture-lussazioni perilunari del carpo (greater arc injuries). In questo gruppo le fratture-lussazioni rappresentano le lesioni più comuni (fra il 45 e il 65% dei casi); spesso è presente una frattura verticale del corpo dello scafoide, mentre più rara è l’associazione con le fratture del radio, del capitato e del piramidale. Meno frequenti sono le lussazioni perilunari pure, in cui il semilunare rimane al suo posto mentre tutto il carpo si lussa dorsalmente o, eccezionalmente, volarmente, e le lussazioni isolate del semilunare.

Diagnosi

La diagnosi clinica non sempre è agevole. I pazienti possono essere politraumatizzati o affetti da altre lesioni che distolgono l’attenzione dall’obiettività clinica del polso, per cui la diagnosi spesso non è immediata. Traumi ad alta energia in anamnesi associati a tumefazione e dolorabilità diffusa con limitazione articolare del polso, pur in assenza di una deformità locale evidente, devono porre il sospetto diagnostico che viene confermato dall’esame radiografico. L’esame comprende 3 proiezioni essenziali, la postero-anteriore (P-A), la laterale (L-L) e la proiezione per lo scafoide (postero-anteriore in deviazione ulnare) [5].

Nella proiezione P-A, per definire i normali rapporti tra le ossa del carpo si possono individuare tre archi radiografici (linee di Gilula): il primo arco contorna il profilo prossimale della prima filiera, il secondo il profilo distale della stessa, il terzo il profilo prossimale della seconda filiera. L’interruzione di uno di questi archi indica un’alterazione dei rapporti anatomici tra le ossa del carpo. Inoltre, lo spazio che normalmente si interpone tra le diverse ossa del carpo è di circa 2 mm o meno. Ogni sovrapposizione tra le ossa del carpo o un ampliamento dello spazio articolare che superi i 4 mm, deve far fortemente sospettare una lesione anatomica.

Nella proiezione laterale sono stati individuati degli angoli che permettono di evidenziare anche le alterazioni anatomiche meno evidenti [6]. I più importanti tra questi angoli sono: il capito-lunato, lo scafo-lunato e il radio-lunato:

  • angolo capito-lunato: L’asse longitudinale del radio, del semilunare, del capitato e del III metacarpo sono collineari. L’angolo quindi dovrebbe essere di 0°.

  • angolo scafo-lunato: è l’angolo formato dall’asse principale dello scafoide (linea congiungente la convessità prossimale e distale dell’osso) e la perpendicolare all’asse longitudinale del semilunare (linea congiungente l’estremità dorsale e palmare dell’osso).

    Normalmente esso oscilla tra i 30° e i 60°, con una media di 47°. Un angolo maggiore di 80° è indicativo per una dissociazione scafo-lunata.

  • angolo radio-lunato: un suo valore superiore ai 15° è indicativo di dissociazione scafo-lunata (Fig. 1).

    Fig. 1
    figure 1

    Gli angoli tra le ossa carpali sono di notevole aiuto nell’identificazione dei vari tipi di instabilità carpale. In ogni illustrazione, oltre all’angolo normale (a) è riportato un esempio di angolo anormale (b) presente nell’instabilità carpale in DISI

Non è comunque infrequente che un approccio radiografico alle lesioni traumatiche del carpo si riveli di difficile interpretazione a causa della sovrapposizione delle varie ossa, che rende difficoltoso delinearne con precisione i singoli profili. Un indispensabile approfondimento diagnostico ci è fornito dalla TC, che deve essere sempre eseguita sia per fugare eventuali dubbi, sia per fornire maggiori dettagli sulla lesione [7, 8].

L’associazione di radiografie tradizionali e TC è sufficiente a indirizzare verso una giusta diagnosi e un corretto trattamento.

Trattamento

Lussazioni perilunari

Le lussazioni perilunari del carpo avvengono quasi sempre dorsalmente e il trattamento consiste nella riduzione della lussazione e nella stabilizzazione con mezzi di sintesi; il timing del trattamento varia a seconda delle lesioni associate e dalla riuscita della manovra di riduzione a cielo chiuso [9].

In acuto la riduzione della lussazione medio-carpica si ottiene con relativa facilità in maniera incruenta. Previa anestesia per ottenere il rilassamento muscolare, si esegue una trazione lungo l’asse longitudinale dell’arto. La manovra viene effettuata con il polso in iperestensione e una pressione applicata volarmente sul semilunare. Una flessione graduale del polso, applicando una forza dorsale sul capitato, riduce la lussazione perilunare dorsale [10]. Tuttavia, frequentemente residua un malallineamento carpale inaccettabile [11, 12] e anche quando, attraverso le manovre incruente, si sia ottenuta una riduzione anatomica, la semplice immobilizzazione in gesso non è sufficiente a mantenere l’allineamento. Adkinson e Chapman [13], infatti, hanno evidenziato che il 59% di queste lesioni ridotte incruentemente, una volta in gesso si scompongono secondariamente. Nei casi in cui si ottenga una perfetta riduzione anatomica è possibile eseguire una fissazione percutanea con fili di K senza riparazione legamentosa a cielo aperto. Se eseguita entro pochi giorni dal trauma, sono stati riportati risultati clinici soddisfacenti [14, 15].

La difficoltà a ottenere e mantenere una riduzione e una riparazione legamentosa valida ha determinato il ricorso sempre maggiore al trattamento chirurgico aperto [12]. Questo permette una valutazione più precisa del danno anatomico, un migliore ripristino dei rapporti articolari e un trattamento accurato delle lesioni legamentose associate. L’approccio può essere volare, dorsale o combinato [1618]. L’accesso dorsale consente una migliore esposizione delle ossa carpali e un’accurata valutazione del danno legamentoso dell’articolazione scafo-lunata, con la possibilità di ricostruire i legamenti lesionati. Altri autori [19] preferiscono la via volare poiché sostengono che il danno legamentoso maggiore sia localizzato anteriormente. Un accesso combinato volare e dorsale viene in genere impiegato nei casi in cui il semilunare sia dislocato anteriormente e non riducibile dalla via dorsale o in presenza di marcati segni di sofferenza del nervo mediano.

Una volta ridotta la lussazione, questa deve essere mantenuta con una sintesi temporanea. La stabilizzazione con fili di K è quella più impiegata e deve stabilizzare in posizione corretta le articolazioni scafo-lunata, scafo-capitata e luno-piramidale per un periodo di circa 8 settimane [20]. In alternativa si può effettuare una sintesi con viti intercarpali, che garantisce una migliore stabilità primaria ma che necessita di un secondo intervento chirurgico per la rimozione [21]. In questi casi, l’immobilizzazione in gesso corto può essere ridotta a un periodo variabile fra le 4 e le 8 settimane.

L’associazione con la lussazione del semilunare è un evento raro. Il trattamento è sempre chirurgico e necessita di un approccio volare (Fig. 2a, b); la lussazione completa è associata a un alto rischio di osteonecrosi del semilunare stesso.

Fig. 2
figure 2

Lussazione volare pura del semilunare: Rx (a) e immagine intraoperatoria (b)

Fratture lussazioni perilunari

In queste lesioni l’indicazione chirurgica è assoluta; il pattern più frequente è rappresentato dalle “fratture lussazioni trans-scafo-perilunari” [22].

La frattura dello scafoide è altamente instabile e associata a lussazione perilunare dorsale o, in casi eccezionali, volare. L’approccio chirurgico da noi utilizzato in questi casi è quello volare (Fig. 3). La riduzione della frattura dello scafoide comporta la riduzione automatica della lussazione perilunare; la frattura dello scafoide viene sintetizzata con una vite [23] per via disto-prossimale (Fig. 4a, b). In questi casi non è in genere necessaria un’ulteriore stabilizzazione con fili di K delle articolazioni intercarpiche.

Fig. 3
figure 3

Frattura-lussazione transscafo-perilunare del carpo: approccio chirurgico volare

Fig. 4
figure 4

Rx postoperatorie: la riduzione e la sintesi con vite dello scafoide ripristinano i corretti rapporti del carpo

Nelle lesioni associate a frattura del capitato (lussazione trans-scafo-trans-capitato perilunare o sindrome di Fenton) [24] occorre sintetizzare, oltre allo scafoide, anche il capitato; in questi casi è preferibile utilizzare un accesso dorsale per la sintesi con vite di entrambe le ossa [25].

Discussione

Le instabilità del carpo sono lesioni complesse, che rappresentato una continua sfida per l’ortopedico a causa della particolarità dell’anatomia del carpo, della difficoltà nel porre una diagnosi tempestiva e precisa e nell’effettuare il trattamento più appropriato. Un trattamento inadeguato o ritardato nel tempo può provocare importante morbilità e disabilità al paziente.

Le lesioni sono inizialmente misconosciute in circa il 25% dei casi [15]. Gli errori diagnostici vengono effettuati soprattutto nei casi di lussazioni pure del carpo, verosimilmente a causa dell’assenza di rime di frattura e dell’errore di posizionamento del polso sul tavolo radiologico, dovuto al dolore e alla tumefazione locale che rendono difficile al paziente mantenere la corretta inclinazione richiesta.

Le lussazioni e le fratture-lussazioni perilunari del carpo rappresentano le lesioni più importanti per frequenza e gravità. La lesione più frequente è la frattura transcafoidea con lussazione dorsale perilunare del carpo [15, 26, 27], che nella nostra casistica rappresenta il 65% delle lesioni. La frattura dello scafoide interessa sempre il terzo medio dell’osso, a direzione più o meno trasversale con possibile, anche se non frequente, comminuzione (5 casi su 62 nella nostra serie). Tra le fratture che possono essere associate a queste lesioni, la frattura della stiloide radiale e quella del capitato (lussazione trans-scafo-capitata o sindrome di Fenton, 5,7% della nostra serie) [28, 29] sono le più frequenti; molto più rara l’associazione con frattura del piramidale.

In tutti i casi di frattura-lussazione, la riduzione anatomica della frattura e la sua stabilizzazione con sintesi rigida porta, in genere, al corretto ripristino dei rapporti articolari.

Meno frequenti sono le lussazioni perilunari pure. Ciò è dovuto sicuramente alle modalità dell’impatto traumatico in cui prevale il vettore di forza in estensione e, verosimilmente, al diverso modulo elastico tra osso e strutture legamentose, che hanno maggior capacità di assorbimento e dispersione dell’energia cinetica [4]. Il trattamento delle lussazioni pure è maggiormente controverso, anche se riteniamo, in accordo con la maggior parte degli autori, che la riduzione a cielo aperto garantisca una migliore valutazione e riparazione del danno e porti a risultati funzionali migliori [18].

Nelle lussazioni perilunari il carpo si lussa quasi sempre dorsalmente. La lussazione palmare è estremamente rara (Fig. 5a, b); in uno studio multicentrico ne sono descritte 5 su 166 casi (3%) [15]. Nella nostra serie è stata riscontrata in un caso associato a frattura dello scafoide.

Fig. 5
figure 5

Rara dislocazione volare del carpo in frattura-lussazione transcafoperilunare

La prognosi delle instabilità complesse sembra essere condizionata principalmente da due fattori: la capacità di ottenere e mantenere nel tempo una riduzione adeguata e la tempestività della cura [20]. L’accuratezza della riduzione è indispensabile a garantire risultati soddisfacenti nel tempo. Questa ovvia constatazione ha determinato un crescente ricorso a trattamenti chirurgici aperti [30] che consentano una visione diretta delle lesioni e dei rapporti articolari, essendosi dimostrate spesso insufficienti le metodiche incruente o mini invasive. Il secondo fattore è legato alle potenzialità di guarigione della lesione legamentosa, che si riduce con il passare dei giorni fino a divenire molto difficile, seppure possibile, dopo le 6 settimane; ne consegue che la prognosi delle lesioni croniche inveterate è sicuramente peggiore.

I risultati ottenuti sono condizionati anche dal tipo di lesione. Nelle fratture-lussazioni i risultati ottenuti appaiono significativamente migliori rispetto alle lussazioni pure [31], dove i controlli a distanza hanno evidenziato in diversi casi una residua instabilità carpale (dissociazione S-L, malallineamento in DISI del semilunare). Una dissociazione S-L residua appare molto frequentemente nei controlli a distanza (53% a un follow-up medio di 12 anni) anche se spesso risulta asintomatica [32, 33].

Anche nei pazienti trattati tempestivamente e con ripristino anatomico dei rapporti articolari si ha una perdita di forza rispetto all’arto controlaterale [34] e, secondo le diverse le casistiche, solo il 45–88% dei pazienti sarà in grado di tornare alle precedenti occupazioni lavorative [16, 18, 35].